Vale la pena di raccontarla questa “normale” giornata attorno alla ‘ndrangheta incorniciata da un anonimo 11 aprile. Un giorno come gli altri, pronto a scivolar via come nella canzone di Guccini…
Un altro giorno è andato,
la sua musica ha finito,
quanto tempo è ormai passato e passerà?
Le orchestre di motori ne accompagnano i sospiri:
l’oggi dove è andato l’ieri se ne andrà.
E invece no. Non scivola via questo undici aprile, o almeno non prima di averti portato sulle montagne russe delle emozioni e delle indignazioni, dello scoraggiamento e della speranza. Perché in dodici ore ci ritrovi tutto il polso tarantolato di una Calabria bella, disperata, irredimibile. Ci trovi una galleria di personaggi che vanno dal galantuomo al vile, dall’ipocrita al profittatore, dall’impostore all’eroe, dal testimone all’ignavo.
Satelliti che ruotano attorno al pianeta ‘ndrangheta.
Cittanova ricorda Rosario Iozia Grazie, colonnello Giancarlo Scafuri, la sua è l’omelia (laica) che avremmo voluto sentire e che non abbiamo avuto dal parroco di Cittanova. Le sue sono parole, alte e dignitose. Solo un’Uomo della Benemerita poteva pronunciarle e le ha pronunciate: «Un abbraccio affettuosissimo ai familiari di Rosario… io chiedo ai ragazzi un minuto della loro attenzione. Siete giovani, siete bravi, siete tutti per bene. Qui siete accompagnati dalle vostre insegnanti. Bene, questo è Rosario (alza la foto del vicebrigadiere ndr) e qui c’è una mamma che dopo trent’anni continua a piangere il suo figliolo. Questo è Rosario, guardatelo, guardatelo bene ragazzi. Bravi, alzatevi in piedi perché fa onore a Rosario. Signori insegnanti spiegate bene che cosa è la ’ndrangheta. Non abbiate paura di dire questa parola. Ditela perché nessuno l’ha detta in chiesa». Guarda il giovane parroco che china la testa: «Caro don Aldo la strada è chiara. C’è solo una strada non ce ne sono altre. Questi sono gli effetti della ’ndrangheta: una mamma che dopo trent’anni ancora piange suo figlio. Spiegatelo bene a questi ragazzi, in modo che possano tornare a casa e parlarne ai loro genitori. Siete tutti per bene, la Calabria merita di più. La ‘ndrangheta è un tumore maligno e questi sono i suoi effetti».
Pochi minuti, il video invade i siti e il Tg1 dedica l’apertura. Anche il nostro giornale online ospita quella manciata di minuti che trasudano orgoglio, amore, sensibilità, fiera compostezza. A sera si contano oltre 265 mila visualizzazioni.
Rosario Iozia, Carmine Tripodi, Antonio Marino, i carabinieri, le squadriglie di montagna Ho conosciuto Rosario Iozia. Aveva 25 anni ed era originario di Catania. In Calabria ci era arrivato da meno di un anno, aveva preso servizio a giugno, comandava una delle squadriglie impegnate nella lotta contro i sequestri di persona. Ho conosciuto anche Carmine Tripodi, comandava la stazione di San Luca. Ho conosciuto Antonio Marino, comandava la stazione di Platì. Tutti uccisi dalla ‘ndrangheta, tutti impegnati nella lotta ai sequestratori. Iozia lo avevo visto in mattinata. Aveva preso parte alla liberazione di Angela Mittica. Figlia del medico del paese, era stata rapita con uno stratagemma: i banditi entrarono in casa dicendo di dover portare un capretto (era vigilia di Pasqua) al medico. Mollarono l’animale e portarono via la ragazza. Era contento Rosario, quella mattina. La ragazza era stata liberata in tempi record e lui sperava in una licenza premio per andare dai suoi a Catania. Poche ore dopo veniva trovato agonizzante in contrada Fiolli, di Cittanova, crivellato di colpi accanto alla propria auto, una Regata che aveva ancora uno sportello aperto e il motore acceso. Il pallettone mortale lo ha colpito alla testa, altri lo avevano raggiunto al fianco destro, al petto, alle braccia. Cittanova era devastata da una sanguinosa faida che non aveva avuto pietà neanche per due piccoli pastorelli, uccisi per stanare il padre latitante. Si ipotizzò subito che il vicebrigadiere, noto per il suo coraggio, si fosse imbattuto in una di queste belve umane. Ha tentato di fermarlo. Ha anche sparato un colpo con la sua pistola di ordinanza ma è finito a sua volta nel mirino dei fiancheggiatori che non hanno esitato ad ucciderlo. Si moriva così, in quegli anni, nella Locride. I riflettori illuminavano Palermo, la ’ndrangheta non la badava nessuno, intanto che cresceva.
Lamezia Terme val bene una messa Se nella chiesa matrice di Cittanova il parroco evita accuratamente di parlare di ’ndrangheta (di cosa è morto, allora, Rosario Iozia?) a Lamezia Terme don Giacomo Panizza della lotta alla ’ndrangheta ha fatto una testimonianza di evangelizzazione. Per questo sparano contro la sua comunità. Per questo ieri hanno devastato i campi avviati alla coltivazione dopo essere stati affidati alla sua comunità dalla Prefettura che li ha tolti ai mafiosi. E sempre a Lamezia la politica costruisce un altro nauseante monumento all’ipocrisia istituzionale: assunzioni di amici e comparelli, saccheggio delle casse pubbliche, poi comunicati di sdegno: «Non accettiamo che il nome della città sia accomunato a deplorevoli vicende dallo squallore infinito. Ora è necessario lavorare per garantire la ripresa piena dell’agire amministrativo». Il Partito democratico, poi, garantisce per bocca del segretario nazionale e di quello regionale piena solidarietà ai carabinieri e grande condivisione per le parole del colonnello Scafuri. Intanto celebra le sue primarie congressuali con contorno di pregiudicati e inquisiti ed all’insegna della violazione di tutte le regole etiche e statutarie. Arriva liberatoria la sera. Ti senti davvero desideroso di staccare la spina a questo teatrino. Cerchi rifugio nella televisione, vedrai altre brutture ma almeno stacchi con questa Calabria amara.
E invece no.
Le Iene e la Gerbera gialla In prima serata Le Iene dedicano ampio servizio alla signora Adriana Musella ed alla sua associazione antimafia. A scorrere le note spese con le quali quasi mezzo milione di euro di danari pubblici è stato gestito dalla signora, c’è da far arrossire anche il motivetto di Rino Gaetano: «Spendi spandi, spendi, spandi, effendi». Fiori, viaggi, alberghi, ristoranti, persino multe, calendari (della legalità, ovviamente). Consulenti e incarichi a figli, mariti, sorelle, amici. Nulla che già non conoscessimo, intendiamoci. Ma questa volta c’è anche lo sputo in faccia ai calabresi e alla Calabria. E sì, perché la signora Musella che è stata dipendente regionale senza fare mai un concorso, che alla Regione Calabria non si usa farlo. Che ha fatto carriera senza mai un concorso, che alla Regione Calabria le carriere si costruiscono in laboratorio (meglio ancora se antimafia). Che ha ricevuto da tutti gli enti pubblici calabresi soldi e assistenza a piene mani, apostrofa l’inviato delle Iene con un «perché ride? Lei mi pare un calabrese e i calabresi, si sa, hanno la mente piccola».
Come non darle ragione. I calabresi hanno la testa piccola e lei ne è la prova.
Non tutti… qualche «pivellina», come lei da maestra di vita apostrofa la nostra Alessia Candito, si salva. Non diventerà presidente del Senato, Alessia, ma ha abbastanza chiaro il confine tra la meschinità dell’antimafia che spende, spande e fa carriera e l’eroismo dei tanti spesso dimenticati martiri della Benemerita.
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