REGGIO CALABRIA Gli elementi fattuali ci sono tutti, quelli sulla consapevolezza di aver agevolato la ‘ndrangheta meno. L’ormai nota sentenza definitiva per concorso esterno in associazione rimediata dall’avvocato Paolo Romeo, per la Cassazione non basta per dimostrare che l’ex potentissimo dirigente comunale Marcello Cammera stesse consapevolmente agevolando la ‘ndrangheta. Ecco perché per lui gli ermellini hanno disposto un nuovo riesame iniziato oggi di fronte ai giudici di Reggio Calabria.
ECCO GLI ELEMENTI Ma gli elementi – per la Dda – ci sono eccome. E in larga parte stanno già agli atti del procedimento, sebbene non siano stati citati dai giudici del Tdl in sede di motivazione. Sono contenuti in tre informative, portate oggi all’attenzione del collegio dal pm Stefano Musolino, da cui emerge – in modo chiaro – come Cammera sapesse perfettamente con chi aveva a che fare.
LE CENE A CASA MUNARI A dimostrarlo – ha spiegato il pm, che insieme ai sostituti Giuseppe Lombardo, Walter Ignazitto, Roberto Di Palma e Giulia Pantano rappresenta la pubblica accusa nel maxiprocedimento Gotha – sono in primo luogo le conversazioni registrate tra Cammera e la giornalista Teresa Munari. L’occasione è una delle tante “cene” organizzate da Munari, funzionali – dice l’accusa – al progetto criminale eversivo di Romeo. È (anche) lì che per i magistrati sarebbero stati “istruiti” i molti riservati al servizio del legale considerato uno dei più importanti uomini della direzione strategica della ‘ndrangheta.
L’OSPITE INOPPORTUNO Il 24 luglio del 2015 però c’è un problema. Al medesimo tavolo di casa Munari rischiano di trovarsi Paolo Romeo e il procuratore generale Salvatore Di Landro, per di più di fronte a quelli che vengono definiti «giornalisti non amici». Un problema per la padrona di casa, che chiede consiglio a Cammera, il quale – sottolineano gli investigatori – «è anche lui consapevole di chi sia Romeo». Ed è – ammette – anche lui preoccupato per «la presenza di altre persone…che non sono quelle che fanno parte del nostro giro, del nostro gruppo».
LA MORAL SUASION DI CAMMERA Non a caso, appena chiuso il telefono con Munari, Cammera – come annunciato – scappa a casa di Romeo. E riesce nell’intento. Il legale decide di non andare alla festa cui era invitato. È lo stesso dirigente comunale a raccontarlo contento alla giornalista, cui riferisce che «(gli) ho detto “ma non solo questo Paolo, ha invitato cinquanta quattro persone, ha invitato pure ad amici e a gente che non si merita perché non sono amici, tu immagini che qualcuno poi… vede all’uno e all’altro e qualcuno di questi non amici le fa qualche… qualche sgarbo, qualche cosa”».
CONFIDENZE Alla donna però consiglia di chiamare Romeo e “addolcirgli la pillola”. «Si – dice il dirigente comunale intercettato – gli devi dire “ma, non lo so, io ti aspettavo, perché a me non me ne frega niente di questo e dell’altro, io ci tenevo a te che tu venissi, il rapporto tra noi, vuol dire che da ora in poi quando faccio inviti li faccio, inviti ristretti, e basta”». E non si tratta di un “pour parler”. Che i rapporti fra i tre fossero solidi lo provano decine di conversazioni intercettate. Incluse quelle in cui si ascolta Romeo parlare in dettaglio del processo che lo ha visto imputato e condannato, nonché della fuga e della latitanza del terrorista nero Franco Freda.
LA CONTROSTORIA Vicende nelle quali – secondo quanto dichiarato da diversi pentiti, non solo di ‘ndrangheta – lui avrebbe avuto un ruolo. Che per altro ha sempre negato, tanto che – annuncia – «a Peppe l’ho investito della responsabilità di fare un’indagine, si è interessato, gliene ho parlato e si è dimostrato molto interessato. Un’indagine per ricostruire la verità storica della fuga di Franco Freda da Catanzaro nel 1979, attraverso tutta una serie d’interviste che deve fare, per una pubblicazione sul tema, accompagnata anche da un cd con video». Insomma, una ricostruzione pilotata e su commissione, tutta basata sulle teorie – non riscontrate in alcuna sede – che lo stesso Romeo non esita ad illustrare a Cammera e Munari.
«VI SPIEGO LA LATITANZA DI FREDA» A suo dire, la regia della latitanza di Freda andrebbe cercata altrove, non in ambienti di ‘ndrangheta impastati di servizi, massoneria ed eversione nera. E per lui, ritaglia un misero ruolo “di servizio” – ospitare il latitante per alcuni giorni – dettato solo da motivi ideologici. «Quello era il periodo insomma, di una grossa tensione ideologica quindi di una solidarietà. (…) C’era questo fatto ideologico, mi eccitava questo fatto, pure diciamo di uno sgarbo istituzionale ad uno Stato che in quel periodo vedevo nemico degli interessi della nazione no, tutta questa roba qua».
SERVIZIO ALL INCLUSIVE Sta di fatto che Romeo, di fronte a Cammera e Munari, ammette di aver “prelevato” Freda a Gioia Tauro «con un altro grosso poi esponente della destra reggina, con la sua macchina». E basta qualche insistenza del dirigente comunale per spingere il legale a rivelare che si trattava di «Meduri, senza fare nome». Ma preso dalla conversazione e pungolato da Cammera, avido di dettagli, Romeo si spinge oltre. Racconta di aver provveduto non solo a tutto il necessario per far trascorrere a Freda una serena latitanza a Reggio Calabria, comprensiva di passeggiate sul principale corso della città, ma di avergli anche procurato i documenti e i contatti per fuggire in Costa Rica.
I TRAGHETTATTORI «Allora, per fare tutto questo – dice Romeo – era necessario, avere a Ventimiglia, sul confine, una persona capace di traghettarlo in Francia, clandestinamente. Ed allora, in tutto questo in effetti, qualcuno del gruppo De Stefano, che fu interpellato, dice “sì, io ho la possibilità di farlo traghettare abusivamente dall’Italia alla Francia. Ed allora, questo Barreca venne sollecitato da questi De Stefano, perché lo tenesse un paio di giorni con sé in attesa che altra persona lo portasse a Ventimiglia e poi lo traghettasse».
«A CONTATTARE I DE STEFANO SONO STATO IO» Ma chi procura a Freda i contatti con i de Stefano? «Sono io», ammette candidamente Romeo, per poi spiegare «io avevo un cliente che si chiamava Paolo Martino. Questo Paolo Martino che era mio cliente di studio, ma per affari civili, affari penali e via dicendo, quando io messo alle strette che non sapevo questa cosa qua come togliermela, presi un mio cliente e gli ho detto “scusa, mi puoi aiutare?”». Una richiesta quanto meno incongrua nell’ambito di un normale rapporto tra avvocato e cliente. Ma su cui né Munari, né Cammera hanno alcunché da ridire. Tanto meno sui rapporti – raccontati in dettaglio dallo stesso Romeo – fra l’avvocato e ambienti di ‘ndrangheta e di eversione nera. E non solo risalenti nel tempo.
OCCHIO ALLA MICROSPIA A dimostrarlo – spiegano gli investigatori in una dettagliata informativa – è la reazione del dirigente comunale quando viene individuata una microcamera su un palo della luce caduto nei pressi del circolo Posidonia, quartier generale del legale. Cammera – si legge nell’informativa – «non solo collega immediatamente la circostanza a una attività investigativa e di monitoraggio in corso da parte delle Forze di Polizia a carico di Paolo Romeo, che ricordiamo essere pregiudicato per concorso esterno in associazione mafiosa, ma tempestivamente mette a conoscenza di tali fatti quest’ultimo». E allo scopo usa mille precauzioni.
UN CAFFÈ “INFORMATIVO” Il giorno dopo, al telefono non dice nulla a Romeo, ma i due concordano per un caffè nel pomeriggio. L’appuntamento è in un bar in centro, ma defilato rispetto a quelli più frequentati o più vicini a palazzo San Giorgio.
In zona però ci sono anche i Ros che fotografano Cammera, Romeo, il figlio di questi, Sebastian, e due uomini non identificati. Di cosa discutano non è dato sapere. Ma molto si intuisce dalla conversazione fra padre e figlio che poco dopo viene registrata in auto. Romeo senior informa Sebastian che «è caduto il palo della luce là, da noi.. Fata Morgana. Hanno trovato la cosa “appiccicata”. Sotto, ma lo sapevo. I sensori sono, ma i sensori li avevano tolti da parecchio… C’è, in tutti i pali ci sono». Esattamente le informazioni che il giorno prima il tecnico comunale Paolo Giustra aveva passato a Cammera.
I CONSIGLI INTERESSATI A GIRONDA Ma Romeo – emerge dall’informativa depositata agli atti – non era l’unico uomo di ‘ndrangheta con cui il dirigente comunale fosse in rapporti. Tanto meno l’unico che aiutasse ad eludere indagini e provvedimenti. Un altro “fortunato” è l’imprenditore Francesco Gironda, zio di Filippo e socio del padre di questi, Giuseppe in una serie di aziende, spesso scelte da Cammera per i lavori “di somma urgenza”, dunque affidati in via discrezionale e senza gara.
«QUESTI SE LI VENGONO A PRENDERE» Quando Filippo viene arrestato per associazione mafiosa e altri reati nell’ambito dell’operazione Tnt2, il dirigente comunale inizia a preoccuparsi. A dimostrarlo è una conversazione registrata nel suo ufficio, durante la quale lo si ascolta leggere e commentare un articolo sull’arresto dell’imprenditore. «”Centomila euro per lavori di manutenzione alla reti idriche, un appalto di cinquantatremila euro in cottimo fiduciario per la sistemazione del cimitero di Archi” e già l’ho visto ieri, lui si era aggiudicato l’appalto di novantasettemila, novantottomila e gli abbiamo dato con cinquantasette virgola cinque altri quarantaseimila – legge preoccupato Cammera -”poi infine un appalto da cinquantamila euro per manutenzione ordinaria alle reti idriche del centro storico”… No, questi vengono a prenderseli sicuramente». Per evitarlo, il dirigente comunale non esita a dispensare opportuni consigli.
PERICOLO SEQUESTRI «Cammera – si legge nell’informativa – subodorando il concreto pericolo che l’imprenditore Francesco Gironda, alla luce del coinvolgimento del nipote Filippo cl. 75 nella grave vicenda giudiziaria di natura mafiosa, potesse essere raggiunto da eventuali misure e/o provvedimenti interdettivi antimafia sotto il profilo societario, si attiva in favore del Gironda Francesco, consigliandogli di rimodulare l’assetto societario delle proprie imprese di modo che non risulti alcun tipo di rapporto economico-imprenditoriale con il nucleo familiare del nipote».
LUNGA VITA AL COMITATO D’AFFARI È lo stesso dirigente comunale – rivela un’intercettazione ambientale – a suggerire a Gironda come modificare l’assetto societario della Archeos, in modo che risulti totalmente in mano ai figli. E l’imprenditore diligentemente esegue. Una vicenda, che al pari di altre, – affermano gli investigatori – dimostra come Cammera abbia «regolarmente anteposto le esigenze del comitato di affari cui apparteneva, la cui direzione era deputata al Romeo Paolo e, quindi, alla ‘ndrangheta, agli interessi della Pubblica Amministrazione, consentendo a imprese vicine alla criminalità organizzata, come appunto la Archeos & Geo s.r.l. di Gironda Giuseppe, di continuare ad ottenere appalti milionari».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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