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Nella tavernetta del boss l’immobiliarista si fa mafioso

CATANZARO È stato arrestato con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso Giovanni Battista Lombardo, immobiliarista 38enne di Castelsilano molto noto anche a San Giovani in Fiore d…

Pubblicato il: 20/04/2017 – 16:18
Nella tavernetta del boss l’immobiliarista si fa mafioso

CATANZARO È stato arrestato con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso Giovanni Battista Lombardo, immobiliarista 38enne di Castelsilano molto noto anche a San Giovani in Fiore dove ha uno studio proprio sul corso principale del paese. Uno dei tanti immobili passati al setaccio dai militari del Reparto operativo di Crotone. Il gip Antonio Battaglia ha accolto la richiesta di custodia cautelare vergata dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dal sostituto Domenico Guarascio. L’arresto di Lombardo si riallaccia all’operazione “Six Towns”, condotta a ottobre 2016 dai carabinieri del Comando provinciale e del Reparto operativo di Crotone, coordinati dalla Dda del capoluogo.  Al centro delle indagini c’è il locale di Belvedere Spinello con le ‘ndrine distaccate di Rocca di Neto, Caccuri, Castelsilano, San Giovanni in Fiore e Cerenzia. Sono le sei città sulle quali domina l’organizzazione mafiosa facente capo alla famiglia Marrazzo attiva nella provincia di Crotone e con ramificazioni nella provincia di Cosenza e in Lombardia. Ad ottobre vennero arrestate 36 persone, tra capi e gregari, ma l’organizzazione, sta emergendo dalle indagini, è vasta e ben articolata.
Tanti gli affiliati – alcuni ancora da identificare – tra i quali Lombardo il quale avrebbe il ruolo di «partecipe al sodalizio mafioso» e in particolare «gestiva, in considerazione delle sue conoscenze in materia, operazioni economiche finanziarie nell’interesse della consorteria d’appartenenza anche tramite l’acquisto e il cambio di monete fuori uso e/o estere utilizzando conti correnti bancari cifrati di cui aveva la disponibilità presso altri stati esteri attraverso l’accettazione delle regole di ‘ndrangheta, il riconoscimento dei ruoli assegnati, il rispetto delle gerarchie e l’osservanza degli ordini e direttive impartite dai quadri di vertice e organizzativi della cosca».

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L’INGRESSO NELLA COSCA È all’interno della tavernetta del boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, che avviene l’ingresso di Giovanni Battista Lombardo nella compagine associativa. Lombardo arriva al cospetto di Grande Aracri accompagnato da Giovanni Spadafora, detto “Ciommo”, rappresentante della ‘ndrina di San Giovanni in Fiore, per chiedere la «risoluzione di un annoso contenzioso che egli da tempo aveva con un dentista di Belvedere Spinello». Lombardo aveva subìto degli atti intimidatori (ordigni dinamitardi di piccole dimensioni) e ne attribuiva la paternità proprio al dentista, spalleggiato dai Marrazzo. Lombardo aveva capito che solo chiedendo l’intercessione di un potere più forte avrebbe potuto superare le avversità che i Marrazzo manifestavano nei suoi confronti.
Il nove febbraio 2013 il capo della “provincia”, Grande Aracri, convoca i cugini Agostino e Giovanni Marrazzo i quali gli raccontano di avere agito in difesa del dentista, vittima di truffe da parte di Lombardo. Ma il boss di Cutro spiega ad Agostino che nonostante la scorrettezza di Lombardo questi non merita «di avere ripercussioni o di essere allontanato, in quanto soggetto utile e necessario ai fini dell’organizzazione criminale cutrese».
L’intermediazione produce i suoi frutti ma ha un prezzo molto alto. Grande Aracri chiama a sé Lombardo e, ignaro di essere ascoltato dagli investigatori, gli dice chiaramente di avere bisogno di “collaboratori”, persone come lui, «cristiani buoni». Gli servono, scrive il gip Battaglia, «dei prestanome cui intestare beni ed attività o soggetti comunque in grado di muoversi agevolmente nel settore economico e finanziario».

I CRISTIANI BUONI «A me mi servono i cristiani buoni mi servono …, mi servono avvocati, ingegneri, architetti…», dice Grande Aracri. È in questo contesto che Lombardo si impegna, rimpinguando le fila di altri professionisti al servizio della cosca, ad offrire la propria consulenza per la creazione di società, conti correnti e quant’altro. La sua, stando alle captazioni ambientali, appare una partecipazione attiva. Il 20 febbraio 2013 si parla di trovare un soggetto che si presti per una intestazione fittizia. «Se ci serve la faccio fare a mia moglie», interviene Lombardo. «Eh! Possiamo fare … possiamo fare con … con … la società di tua moglie!», annuisce Grande Aracri.

IL PASSAGGIO CON I MARRAZZO Dopo l’arresto di Nicolino Grande Aracri, il 6 marzo 2013, Lombardo ha bisogno di nuovi interlocutori. È da questo momento che avviene il suo avvicinamento ai Marrazzo. Il passaggio non sarà facile soprattutto per l’atteggiamento tenuto da Agostino Marrazzo il quale lamenta, parlando con Saverio Bitonti, referente per la cosca nel paese di Castelsilano, del fatto che Lombardo aveva cercato l’appoggio di altri esponenti criminali. Ma Bitonti lo giustifica dicendo che Lombardo era impaurito per le minacce ricevute dallo stesso Agostino Marrazzo.

 

L’OMICIDIO SILETTA Saverio Bitonti e Giovanni Battista Marrazzo hanno diverse conversazioni. Nel corso di una di queste Bitonti dimostra di conocere i particolari dell’omicidio di Antonio Siletta che egli attribuisce a Giovanni Spina Iaconis, esponente della ‘ndrina di San Giovanni in Fiore, e al collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, specificando che tutti gli altri compartecipi erano forestieri. Significativi sono i commenti che coronano il racconto del delitto.
«La prima botta gliel’ha sparata Ciccio – racconta Bitonti– … Allora Ciccio Oliverio … la prima botta gliel’ha sparata alla gamba … nella marina … in una campagna … gli hanno spaccato una gamba … non si fanno queste cose Giovà … per carità … io … non mi voglio nemmeno ricordare .. devi sparare uno .. sparalo e basta… nella testa …anzi … non ci nemmeno vede … e gli devi sparare da dietro … specialmente se sei stato che ci hai mangiato e bevuto … o mi sbaglio Giovà». E Lombardo commenta: «gliene ha prestato soldi a questi…».
Saverio Bitonti critica aspramente le modalità dell’esecuzione: «però … qua ci si sono divertiti … la prima botta alle gambe … un’altra nel petto … e lui … vivo … poi di nuovo un altro … poi di novo un altro … quattro persone gli hanno sparato … gli hanno sparato … quattro persone … lo devono pagare a questo Giovà … se c’è Gesù Cristo questa qua la devono pagare … perché … non si giustiziano in questa maniera». Secondo il racconto del referente di Castelsilano la vittima aveva nella tasca 10mila euro. Soldi del tutto ignorati dai killer: «nella tasca aveva diecimilia euro… ed i soldi … non se li sono presi per niente … sono bruciati i soldi … lo mettono nella Jeep .. gli mettono fuoco .. c’era la bombola … è saltata pure la bombola …». Lombardo chiede perché lo abbiano ucciso. «Ohi Giovà – risponde Bitonti – … era per un poco che spacciava… dimmi tu chi non spaccia … cioè e questi.. sono modi? … ah… no… no… non andiamo bene… non andiamo bene…».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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