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De Masi e il progetto fallito all’Unical: «Abbiamo approcci diversi…»

GIOIA TAURO Antonino De Masi – una vita nell’economia calabrese tra battaglie contro le cosche e le banche – ne ha viste così tante che non si scandalizza più di nulla. Chi lo ascolta, invece, rima…

Pubblicato il: 30/04/2017 – 22:00
De Masi e il progetto fallito all’Unical: «Abbiamo approcci diversi…»

GIOIA TAURO Antonino De Masi – una vita nell’economia calabrese tra battaglie contro le cosche e le banche – ne ha viste così tante che non si scandalizza più di nulla. Chi lo ascolta, invece, rimane di sasso: «Entro maggio la mia azienda renderà noto un progetto portato avanti con l’Università di Trento e con l’Enea di Matera. Collaboro con il Politecnico di Torino. Ma con l’Università della Calabria no, abbiamo approcci diversi…». Davanti a una platea non troppo folta – l’incontro sul futuro del porto di Gioia Tauro organizzato dal Movimento Cinque Stelle non ha attratto una folla oceanica – l’imprenditore la cui azienda è presidiata dall’esercito ha posto una domanda a tutto il sistema universitario calabrese: «Quali ricadute hanno dato e stando dando al territorio? Mi riferisco soprattutto alle facoltà tecniche». Il giorno dopo lo sfogo, De Masi al telefono conferma tutto: «Quando sono andato a Cosenza per parlare degli sviluppi di un progetto per il quale avevamo firmato una convenzione tre anni ho trovato strane resistenze. Dico soltanto che sono figlie di una antica cultura calabrese. Davanti a un certo approccio me ne sono andato. Ho capito che quello non è il mio mondo». L’idea, nata nel 2014, avrebbe dovuto consentire il miglioramento della “Safety Cell”, una struttura concepita per assicurare un alto livello di protezione contro il terremoto all’interno di abitazione ed edifici. De Masi avrebbe voluto portarlo in giro per il mondo per presentarlo come un’eccellenza calabrese. A quanto pare non se ne farà nulla. Vanno avanti, invece, le idee sviluppate tra Trentino e Basilicata. 
E rimane valida un’altra proposta, che l’imprenditore ha lanciato nel lontano 2000: «A quei tempi – spiega – il capannone dell’Isotta Fraschini nell’area del porto di Gioia Tauro si era appena svuotato. Dissi: invitiamo tutti i piccoli artigiani che ci sono nei Comuni della zona, prendiamo il capannone e diamo loro servizi tecnologici che non si possono permettere allo stato attuale. Aiutiamoli a vendere il loro prodotto e, anche, a uscire – non vale per tutti ma per molti – dal cono d’ombra fiscale in cui si trovano. Sarebbe stato un modo per far crescere la cultura della legalità e creare 200-300 posti di lavoro». A Gioia Tauro non servono soltanto i mega investimenti salvifici ma anche, forse soprattutto, possibilità alle piccole imprese «che devono essere messe in grado di vendere i propri prodotti. Non basta fare capannoni. Quell’idea è ancora valida». Come dire: c’è una strada da sperimentare. Ed è la stessa presentata 17 anni fa nella Calabria immobile.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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