Vivere nel silenzio, da soli. Una scelta fuori dal tempo che è ancora abbracciata da decine di eremiti in Italia. Padre Ernesto Monteleone, 78 anni, è uno di loro. Da 22 anni ha scelto il piccolo santuario di San Nicodemo, nel cuore dell’Aspromonte, in Calabria, per la sua “seconda” vita, fatta di un saio bianco e una chiesa da custodire. Un lungo passato di parroco, circa 25 anni, e poi la svolta: vivere da solo nel silenzio e nella preghiera. Padre Ernesto è uno dei circa duecento consacrati che ha fatto in Italia la scelta più radicale che ci possa essere nella Chiesa, quella di vivere completamente da soli. Figure importanti nei primi secoli del cristianesimo, e in alcuni casi ‘sorgente’ delle prime comunità monastiche, oggi gli eremiti vivono una nuova stagione grazie alla riscoperta di questa vocazione con il Concilio Vaticano II. Padre Ernesto ha una sua “Regola”, approvata dalla Chiesa, nella persona del vescovo che lo consacrò, appunto come eremita, nel 2000: monsignor Giancarlo Maria Bregantini, in quegli anni a capo della diocesi di Locri-Gerace, e oggi vescovo di Campobasso.
Soli, in luoghi lontani dal frastuono delle città, gli eremiti oggi sanno però anche accogliere chi ha bisogno di loro. Per una parola o un consiglio, per pregare o confessarsi. Padre Ernesto accoglie tutti con un sorriso nel suo rifugio sull’Aspromonte. Parla piano, quasi sussurra per non rompere quel silenzio da lui tanto ricercato. Del mondo fuori manca niente? «Niente! Io ho di più di quello che c’è là fuori, sono felice», risponde. E racconta divertito come tutti quelli che arrivano all’eremo dicono di apprezzarne il silenzio e la pace ma poi la prima cosa che fanno, mentre se ne vanno via, è accendere lo stereo dell’auto. Nei giorni di festa è un viavai e lui ha una parola per tutti «ma ci sono interi periodi, soprattutto d’inverno, durante i quali quassù non viene nessuno». L’Aspromonte è terra di ‘ndrangheta e per anni (e forse ancora oggi) ha nascosto nelle sue pieghe inaccessibili diversi latitanti. Il sacerdote lo sa. E sa che magari sono in odore di mafia anche alcuni tra i tanti che lo vanno a cercare per parlare o confessarsi. «Ma se la Chiesa non è aperta al peccatore a chi porta la salvezza?», risponde, sottolineando che la preghiera deve abbracciare anche chi si è macchiato di questi delitti. La sveglia suona prima dell’alba, quando fuori è ancora tutto buio, e comincia con l’ufficio delle letture. Poi la Messa tutti i giorni: «La celebro anche quando sono solo». E poi ancora preghiera. Ma c’è anche il terreno intorno da tenere pulito, la spesa da fare, e le piccole manutenzioni a quella chiesetta. Nella stanza un letto, un tavolo, una stufa, una piccola cucina per prepararsi da mangiare. E poi i libri di preghiera che accompagnano la giornata. Nel 2017 un consacrato che non ha tagliato i ponti con l’umanità è in parte anche “2.0”. Padre Ernesto allora possiede anche un cellulare che accende un’ora al giorno (dalle 20 alle 21) e una casella mail che consulta due volte al giorno. Fuori dal mondo, ma non troppo.
Manuela Tulli
(Ansa)
x
x