Oltre al Pil, il prodotto interno lordo e alla Fil, la felicità interna lorda, c’è da tener presente anche un nuovo indice: il Tin, il tasso di irritabilità nazionale. Un tasso che non è misurabile con criteri scientifici, ma, almeno in Calabria ed in tutto il Sud è alle stelle.
In tutti, o quasi, i 409 comuni calabresi, non c’è cittadino che non lo conosca. O meglio, lo conosce ma non era a conoscenza del nome. E questo perché, per un motivo o per un altro, siamo tutti incazzati (pardon, arrabbiati): perché? Lo sanno anche i bambini. Tutti avremmo diritto a qualcosa che non arriva mai. L’incazzatura ce l’hanno i professionisti, gli agricoltori, i marinai, gli insegnanti, i giovani, in particolare.
E come si fa a non essere incazzati? I giovani hanno tutte le ragioni del mondo, sia perché non riescono a risolvere l’immenso problema del posto di lavoro, ma anche perché non riescono ad evitare la faccia tosta di coloro i quali continuano a promettere la soluzione del problema del posto di lavoro. Problema che è grande quanto un isolato di appartamenti. Una volta si diceva una casa, adesso si dice di più case, tutto un intero palazzo. Perché una casa è piccola di fronte all’arrabbiatura e alle prese in giro di questo o quel politico che, imperterrito, continua a promettere. Spesso perché non avendo in tasca la soluzione, o il posto, prende in giro e non dice la verità. Ed allora la colpa, probabilmente è dell’intera classe dirigente che non è riuscita, pur nonostante ogni tentativo esperito, quando lo è,ad avviare a soluzione del problema dei problemi. È vero il posto fisso non c’è più, almeno per i povericristi, ma non si individua all’orizzonte nulla che faccia ben sperare. Il toc-toc alla porta del politico, pur proseguendo imperterrito, fin dagli anni ’60, non è foriero di risultato. A casa dell’industriale, poco che ci manca che sia lui a chiederti di essere sovvenzionato, del ricco, manco a parlarne, perché quando c’è, nella migliore delle ipotesi, è avaro, altrimenti non sarebbe ricco.
Ed allora che si fa dopo le preghiere a Santa Rita, la santa degli impossibili? Si aspetta e si spera, senza dover ripetere che chi di speranza vive…. Ed allora, si sta a casa, in attesa della manna dal cielo. Che arrivata una volta, come Paganini, non si ripete. Ed allora vai all’estero a fare il cameriere, se hai la predisposizione d’animo della ventura o dell’avventura. Altrimenti aspetti, o fai un lavoro (?) a due-trecento euro al mese, pur con laurea, dottorato, altri titoli. Mai, come in questo momento i giovani sono alla disperazione! Dire emergenza, forse, è riduttivo, ma di questo si tratta, mentre i politici girano a zero, nonostante le scuse, se e quando ci sono. Un nuovo appello è venuto dal presidente della conferenza episcopale calabrese mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro. Almeno c’è la Chiesa che tiene accesa la fiammella della speranza, per non far precipitare i giovani verso l’abisso della disperazione o della delinquenza, organizzata o non. Bertolone insiste con i politici e gli amministratori affinché dedichino parte del loro tempo a creare le condizioni per affrontare il problema ormai, da tempo, divenuto dramma.
Bertolone, ripetendosi, ha lasciato intravedere il lavoro nero, il caporalato e quel che è peggio, il mondo del crimine organizzato, ormai in cravatta e doppio petto, come ama ripetere il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Dal capo della Chiesa calabrese, viene l’appello, ancora un altro – giustamente – a quanti ne hanno facoltà e obbligo a far si che si promuova un approccio nuovo e diverso al problema proprio perché, la nostra, non debba più essere la prima regione in Europa per numero di disoccupati.
Bertolone parla di riportare nella disponibilità delle cooperative giovanili le terre confiscate ai mafiosi. Il presule si rende conto delle difficoltà esistenti per giungere a questa soluzione. Ci sono esempi positivi, ma anche non del tutto risolutivi, per colpa della criminalità che, è il caso del coraggiosissimo don Panizza di Lamezia, non demorde, nel migliore dei casi. Da noi è mezzanotte, dice Bertolone, in questa direzione. La società calabrese non riesce a percorrere fino in fondo la strada delle strategie creative in favore delle nuove generazioni e di quelle che verranno. Si arriverà da mezzanotte a Mezzogiorno. È difficile assai. Sono i giovani stessi a dover scegliere l’impegno civile. Come? Citando Giorgio La Pira, il presule calabrese è del parere che i giovani si debbano fare rondini, capaci di andare verso la primavera ed essere essi stessi primavera. Grazie mons. Bertolone. È affascinante l’esempio che lei ha fatto. Purtroppo, però, non basta più. È la classe politica a doversi chiudere in una stanza, senza vitto e alloggio, e uscire solo quando troverà una soluzione, sia pur minima per dare respiro e futuro ai nostri giovani. Altrimenti, come ha scritto Enrico Marro sul Corriere della Sera, i nostri figli saranno costretti a stare con mamma e papà fino a 50 anni. E non è la prospettiva che nessuno di noi aveva sperato per i propri figli. Ma tal dei tempi è costume. Non ce ne capacitiamo, ma che possiamo fare? Allungare la fila di quanti stanno davanti alle porte delle chiese, dei supermercati, delle farmacie? Che bella prospettiva!
*giornalista
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