ROMA «Sono i numeri di un fallimento senza appello a cui si continuano a contrapporre le solite politiche sterili e fini a se stesse che hanno ormai condannato allo spopolamento una delle aree più importanti del nostro Paese». È quanto dichiara in una nota il vicecoordinatore di Forza Italia in Calabria Nino Foti, già capogruppo in commissione Lavoro della Camera, in merito agli ultimi dati diffusi dall’Eurostat sui livelli di disoccupazione in Europa.
«Secondo questi dati – prosegue Foti – la Calabria è la regione europea che nel 2016 ha fatto registrare il maggior tasso di disoccupazione giovanile pari al 58,7%. Peggio solo le aree spagnole di Melilla e Ceuta, che fanno registrare rispettivamente un tasso di disoccupazione giovanile del 69,1% e del 63,3%, ma che sono comunque piccole città autonome, di circa 80 mila abitanti ciascuno, situate oltretutto in Marocco. Non solo, se si considera che a seguire, eccetto l’Andalusia che risulta essere al quarto posto nell’Ue per disoccupazione giovanile, ci sono la Sicilia (57,2%) e la Sardegna (56,3%), è evidente che la proporzione del problema è ancora maggiore. Gli stessi numeri del resto sono quelli che ritroviamo nel quadro occupazionale generale in cui, sempre nel 2016, cinque regioni italiane hanno fatto registrare un tasso di disoccupazione di almeno il doppio della media Ue, che si attesta all’8,6% e tra queste la Calabria si colloca al primo posto con un tasso di disoccupazione pari al 23,2%».
«Al di là dei numeri comunque – prosegue l’esponente di Forza Italia -, quello che purtroppo spaventa di più è l’assenza di un’adeguata politica del lavoro che sia in grado di fornire le risposte giuste per invertire radicalmente la tendenza e creare una crescita dei livelli occupazionali. Manca una visione organica e di prospettiva della situazione che è stata gestita, specialmente negli ultimi tempi, con provvedimenti vuoti di sostanza e di contenuto, che non sono mai riusciti ad andare oltre gli annunci spot e non hanno mai inciso in maniera proficua. Si è continuato a legiferare per la grande impresa, sostanzialmente per un mondo del lavoro che non esiste, visto che il motore del tessuto produttivo italiano è composto da imprese che per il 94,5% contano meno di 10 dipendenti. Non si è puntato sull’autoimprenditoria, non si è tutelata ad esempio l’occupazione femminile ed è mancato anche il coraggio di rivedere a fondo l’impostazione del sistema universitario e di quello pensionistico in modo da renderli parte funzionale di uno stesso meccanismo. Ci ritroviamo pertanto con un sistema scolastico disallineato col mondo del lavoro, che prepara i nostri giovani a delle professioni che non hanno mercato quando allo stesso tempo mancano gli investimenti sulla formazione di professionalità che potrebbero trovare ampi spazi in settori in via di sviluppo. Siamo alle prese con un sistema pensionistico che, anche per far fronte agli errori del passato, continua a trattenere al suo interno i lavoratori in età pensionabile impedendo di fatto un vero ricambio generazionale. A completare il quadro, l’incomprensibile atteggiamento di uno Stato che da un lato, continua a causa di un’eccessiva burocrazia e di un’assurda pressione fiscale a soffocare le nostre realtà imprenditoriali costringendole al fallimento o alla delocalizzazione in altri Paesi, dall’altro, tramite scelte alquanto discutibili continua a smantellare il tessuto produttivo italiano svendendo ad investitori esteri le nostre più importanti realtà imprenditoriali, come accaduto qualche tempo fa con AnsaldoBreda e AnsaldoSts vendute alla giapponese Hitachi mettendo fortemente a rischio centinaio di posti di lavoro che potrebbero non essere garantiti nel medio periodo».
«Ovviamente – conclude Foti – a fare le spese di questa realtà disastrosa sono in primo luogo i nostri giovani che in linea teorica dovrebbero rappresentare il principale investimento di un Paese moderno, ma ai quali, nel nostro caso, vengono invece riservate misure assistenzialistiche e soluzioni tampone, specialmente se si tratta dei nostri territori. È inutile pertanto lanciarsi in una qualsiasi discussione politica se non si stabilisce che la soluzione di questa situazione deve rappresentare il primo punto dell’agenda programmatica di un qualsiasi governo, ed è inutile continuare a raccontare di prospettive che non esistono. La realtà purtroppo è molto semplice, se non costruiamo per le nostre generazioni più giovani un nuovo mercato del lavoro il nostro Paese non potrà ovviamente avere un futuro».
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