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Una fusione che sa tanto di confusione

Siamo alle solite. In presenza di incentivi finanziari pubblici si genera la corsa ad accaparrarseli a prescindere.  È quanto sta accadendo con le fusioni dei Comuni, nei confronti del quale sono i…

Pubblicato il: 09/05/2017 – 11:36
Una fusione che sa tanto di confusione

Siamo alle solite. In presenza di incentivi finanziari pubblici si genera la corsa ad accaparrarseli a prescindere. 

È quanto sta accadendo con le fusioni dei Comuni, nei confronti del quale sono in tanti a subire la «attrazione fatale» dei contributi straordinari previsti dallo Stato, riferibili ai trasferimenti goduti dai Comuni interessati nel 2010, quando i finanziamenti erano molto più consistenti di quanto lo siano oggi, con quel fondo di solidarietà che ne ha combinato di tutti i colori. Con il passaggio dal 20% al 40%, avvenuto nel 2016, si sono moltiplicate le iniziative in tale senso, incrementate ulteriormente dall’elevazione al 50% a cura del comma 447 della legge di bilancio per il 2017. Al riguardo, ben poca cosa produrrà, invece, l’incremento disposto dalla mini-manovra (decreto legge 50/2017) per gli enti territoriali in corso di conversione  che, all’articolo 21, ha previsto un contributo di due milioni per il biennio 2017-2018, che aveva fatto sperare in un finanziamento aggiunto di tale entità per singola fusione, che di contro sarà da dividere tra tutte le fusioni che si perfezioneranno nel periodo.

Si diceva della brutta abitudine, tutta italiana, di «ficcarsi» sempre nel «piatto ricco». Un tale vizio ha origini lontane:

–  è sempre stato di appannaggio dei privati, eterni godenti dei contributi, specie di quelli a fondo perduto (così come sono da considerarsi quelli concessi in favore delle fusioni di Comuni), del tipo quelli goduti da imprenditori, spesso divenuti tali per l’occasione, a mente della famigerata legge 488/92 e simili;

– è rintracciabile frequentemente nei Comuni, oggi in materia di fusioni, attesa la caratteristica non vincolata dei contributi, in quanto tale generalmente attrattiva, indipendentemente dal progetto industriale dell’aggregazione, che dovrebbe caratterizzare il percorso di progettazione e realizzazione del nuovo ente.

Una siffatta corsa alle fusioni da parte degli enti locali – segnatamente impoveriti finanziariamente dagli imponenti ratei trentennali di restituzione delle anticipazioni finanziarie godute a mente dei decreti legge 35/2013, 66/204 e 78/2015 – ha trovato le Regioni, deputate a disciplinarne il percorso, inadeguate di fronte all’ingigantimento della domanda relativa. Per lo più, con leggi obsolete rattoppate alla bisogna e male.

Invero, a determinare questo bailamme legislativo ha contribuito anche la legge Delrio che ha fatto bene  – da una parte – sancendo previsioni generali accettabili e – dall’altra – generando non poche confusioni a valle, più esattamente nella elaborazione legislativa da perfezionarsi a cura delle Regioni. Un contributo negativo – anche in relazione alla disciplina dell’area vasta che a tutt’oggi rimane una mera enunciazione di condivisibile principio e nulla più – che ha pesato nella determinazione, sull’argomento delle politiche aggregative, dell’attuale deficit legislativo. Un gap maggiormente evidenziatosi anche a seguito della mancata approvazione della revisione della Costituzione, bocciata dal referendum del 4 dicembre scorso, che riassumeva nella competenza esclusiva dello Stato, per l’appunto, le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, così come previsto nell’ipotesi di riscrittura dell’articolo 117, comma 2, lettera p), finalizzata ad dare l’occasione di rivedere organicamente tutta la materia.

Nonostante tutto questo si contano quotidianamente ricorsi alle fusioni, spesso incentivati dall’idea di tanti amministratori locali di utilizzare i contributi milionari per aggiustare ciò che gli stessi hanno rovinato in tanti anni di malagestio. Una brutta abitudine che diventa un pericolo grave in presenza di leggi regionali non affatto esaustive sul tema. Una disciplina che occorre di una immediata riscrittura, necessariamente coordinata con la novellata Costituzione e con le leggi statali che fissano adempimenti al sistema autonomistico di grande spessore, primo fra tutti quello di obbligare i Comuni a concorrere all’equilibrio del bilancio consolidato dello Stato. Un risultato che per essere conseguito ha necessità che gli enti territoriali, a cominciare dalle Regioni, prendano coscienza altresì delle novità introdotte dalla riforma Madia e dallo specifico contenuto dei suoi decreti delegati, prioritariamente di quelli che ridisciplinano le società partecipate. Non trascurando, ovviamente, ciò che la medesima legge delega non è riuscita a sollecitare, per decadenza del termine previsto ad hoc, in relazione ai servizi pubblici locali di interesse generale che dovranno, di qui a non molto, rintracciare una regolazione in un apposito testo unico ampiamente condiviso.

 Una difficoltà seria quella delle Regioni a dovere rivedere i propri impianti legislativi in materia di riordino e di strumenti aggregativi. Lo è a tal punto a fare registrare esperienze elaborative di leggi, francamente inimmaginabile. È quanto successo nella Calabria dei record negativi in termini di mortalità delle leggi ad opera dalla Consulta. Si è, infatti, verificato che si è perfezionata – e si rischia di fare altrettanto con le fusioni in itinere – una fusione di Comuni (denominata Casali del Manco) e in assoluta assenza del relativo studio di fattibilità ovvero di relazione tecnica di accompagno che dir si voglia. Non solo. Si è provveduto ad annettere al nuovo ente, un Comune i cui cittadini si erano decisamente pronunciati in senso contrario. E ciò è accaduto dopo due integrazioni alle pregressa normativa del 1983 riguardante il referendum consultivo, delle quali la seconda (del dicembre 2016) approvata per correggere quella precedente (del marzo 2016) che aveva supposto di fare valere la maggioranza dei votanti dall’intero bacino. Come dire in cinque Comuni interessati all’evento aggregativo, di cui il primo di 1.000 abitanti e gli altri quattro di 200 cadauno, sarebbe stato era sufficiente, per generare la fusione, l’espressione dei voti favorevoli nel primo.

Quanto rilevato dimostra che, a fronte della corretta esigenza nazionale di ridurre i Comuni ad una cifra che sia almeno la metà di quelli attuali (7.998), l’esistenza di un sistema legislativo regionale segnatamente inadeguato, tanto da fare registrare il ricorso, da parte delle solite Regioni più attente alla elaborazione del proprio sistema legislativo, a mettere le mani sul proprio ordinamento, ammettendo così, costruttivamente, i ritardi registrati sul punto. 

È il caso della Toscana che, pare, stia approfondendo gli elementi da prendere in considerazione per elaborare una riforma, con la R maiuscola, in tale senso. Tra questi, la rinnovata modalità di pervenire alla manifestazione della volontà popolare attraverso una rimodulazione del referendum consultivo assistito da quesiti più allargati e differenziati secondo le poste in gioco, del tipo le denominazioni alternative del nuovo Comune e le previsioni del consenso su esiti referendari diversificati.
A ben vedere tra la generalizzata rincorsa agli incentivi-esca, l’assenza di corretti provvedimenti legislativi che regolino la programmazione del nuovo ente, al lordo degli strumenti necessari per pervenire ad un giudizio sulla meritevolezza dell’evento da parte della Regione che dovrà disporlo, e la brutta abitudine degli amministratori di ricorrer alle fusioni in modo spesso inconsulto si corre il rischio di generare dei mostri. Così facendo si rischia di tradurre lo strumento della fusione, indispensabile per diminuire drasticamente e saggiamente il parterre delle istituzioni locali egli enti locali, oramai insostenibile, un elemento dirompente e pericoloso per il futuro delle colle
ttività locali. E ancora. Si corre il rischio di mettere in forse, più di quanto già lo siano, gli equilibri economici degli enti interessati con quello più generalmente preteso dalla Costituzione della Repubblica.

 

(Questo articolo è un’anticipazione rispetto a quanto verrà pubblicato sulla rivista Astrid)

*Docente Unical

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