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Le ragioni del “No” al Consorzio

È stato oramai chiarito dalla giunta regionale (in particolare dall’assessore Rizzo in conferenza stampa e dal dirigente Aramini nel corso dell’audizione in Commissione Ambiente) che, a motivo dell…

Pubblicato il: 16/05/2017 – 11:55

È stato oramai chiarito dalla giunta regionale (in particolare dall’assessore Rizzo in conferenza stampa e dal dirigente Aramini nel corso dell’audizione in Commissione Ambiente) che, a motivo della proposta di legge di modifica la legge istitutiva della Riserva delle Valli Cupe (41/2016), ci sarebbero due ordini di argomenti.
Vediamoli:
1) “La legge regionale n. 10/2003 prevede, nel caso di una Riserva che incide su due comuni, come forma di gestione la costituzione del consorzio obbligatorio tra tutti gli enti locali interessati”;
2) la legge quadro nazionale prevede il “principio fondamentale per la gestione dell’area protetta regionale la partecipazione degli enti locali interessati alla gestione dell’area protetta”.

 

Si capisce, immediatamente, che tali motivi non trovano rispondenza nella norma, poiché né la legge regionale n. 10/2003 tantomeno la legge quadro nazionale n. 394/91 dispongono alcun obbligo di assegnare la gestione ad un consorzio di enti locali nel caso in cui l’area incide su più comuni.
Si confonde tra “soggetto gestore” e “strumenti di attuazione” della gestione. Sono questi ultimi che prevedono il coinvolgimento dei soggetti interessati e si omette di dire, altresì, che in Calabria sono presenti altre Riserve naturali (due) che incidono sul territorio di più enti locali, ma non sono gestite  da consorzi di comuni. Sia la legge quadro che la legge regionale dispongono una serie di opzioni possibili e non un obbligo cogente nella scelta del soggetto gestore, prevedendo, sì, i consorzi, ma anche enti di diritto pubblico (e un comune è senz’altro un ente di diritto pubblico!), organismi associativi, associazioni ambientaliste, università e financo istituzioni scientifiche.
Ma vi è di più: nella legge quadro è inserito l’importante principio della non replicabilità automatica delle forme organizzative della gestione, considerata “la peculiarità delle aree interessate”, mentre la legge regionale, prevedendo che “Ad un Ente di gestione può essere demandata la gestione anche di più aree protette”, smentisce ulteriormente il motivo dell’obbligatorietà, potendo la Regione determinarsi ad affidare aree protette ricadenti in altri e diversi territori ad un ente di gestione che opera in altra area.
Non esiste, dunque, alcun elemento di obbligatorietà nella scelta del soggetto gestore. E a chi ancora nutrisse dubbi, si fa notare che il Governo nell’esaminare la legge istitutiva della Riserva non ha mosso nessuna obiezione. Si suggerisce, inoltre, di fare una ricognizione delle altre leggi regionali – che pure sono tenute, al pari della Calabria, ad adeguarsi alla legge quadro – per verificare che nessuna obbligatorietà viene disposta in favore dei consorzi degli enti locali come soggetti gestori. Alcune Regioni hanno addirittura cassato questa modalità di gestione dalla propria normativa, considerato l’unanime discredito che tale forma ha ormai assunto, tanto da avere suscitato la mannaia abrogativa della stessa legislazione nazionale.

 

COSA PREVEDE LA LEGISLAZIONE NAZIONALE? La proposta di legge modificativa della legge in vigore prevede che il soggetto gestore sia individuato nel consorzio tra comuni. È evidente che nessuno ha informato il Presidente della Regione che, partendo ormai dall’unanime convincimento che i consorzi sono risultati strumenti obsoleti, il legislatore nazionale è intervenuto in più occasioni per limitare l’uso di tale istituto da parte degli enti locali.

 

DUE IN PARTICOLARE: La L. 28 dicembre 2001 n. 448 (art. 35) ha escluso il consorzio fra enti locali per le attività aventi rilevanza economica e imprenditoriale, facendo salvi, nell’ultimo comma del cit. art. 31, i consorzi che gestiscono servizi pubblici locali privi di rilevanza economica di cui all’art. 113 bis TUEL, assoggettati al regime delle aziende speciali; La L. 23 dicembre 2009 n. 191 (art. 2, comma 186), a fini di coordinamento e di contenimento della spesa pubblica, ha imposto ai comuni la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali (con l’eccezione dei bacini imbriferi montani).
Ora, si può discutere se un consorzio tra comuni per la gestione di un’area protetta sia un consorzio di funzione o un consorzio di servizi. Ma esistono in Italia almeno due Regioni, Lombardia e Emilia Romagna che, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 191/2009, si sono affrettate a modificare la loro normativa per la trasformazione dei consorzi tra enti locali nello specifico settore, di fatto considerati abrogati poiché il legislatore nazionale aveva comunque precisato che “restano esclusi dall’applicazione della disciplina in parola, fino alla data di entrata in vigore di ciascuna legge regionale di riordino e comunque non oltre il 31 dicembre 2011, i consorzi di funzione costituiti per la gestione degli Enti parco istituiti con legge regionale.”

 

QUESTO DUNQUE LO STATO DELL’ARTE Di certo, nessuna obbligatorietà sul da farsi e, altrettanto sicuramente, nessuna illegittimità nella legge già approvata. Anzi, proprio avviando la costituzione di un consorzio c’è il concreto rischio di costruire una forma illegittima di gestione, che invece di trasmettere riconoscimenti rischierebbe di offrire una risposta pubblica obsoleta e improduttiva. 

LE MOTIVAZIONI DEL “NO” Si precisa, per chiarezza e a “futura memoria”, che proprio una legge che prevedesse il consorzio obbligatorio per la gestione della Riserva Valli Cupe sarebbe incostituzionale. Ed ecco perché: con legge n. 191/2009 (art. 2, comma 186), a fini di coordinamento e di contenimento della spesa pubblica, è stato imposto ai comuni la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali (con l’eccezione dei bacini imbriferi montani). L’articolo è stato impugnato davanti la Corte Costituzionale dalle Regioni Toscana e Campania. La suprema Corte, con sentenza n. 326/2010, ha dichiarato inammissibile la questione per “sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione” con una motivazione particolarmente interessante: (…) Ed infatti, anche in ordine a tale disposizione deve essere dichiarata l’inammissibilità della relativa questione di costituzionalità, promossa dalle Regioni Toscana e Campania, per sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione. È pur vero che la sopravvenienza normativa costituita dalla novellazione introdotta dal decreto-legge n. 2 del 2010, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 42 del 2010, si è limitata ad escludere dalla soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali i bacini imbriferi montani, ma nella ricognizione del ius novorum, che ha interessato la disposizione impugnata, non può omettersi di considerare l’art. 14, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122 del 2010”. La sopra citata disposizione stabilisce che “le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall’articolo 21, comma 3”, della legge n. 42 del 2009, “sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune ed il comune di Campione d’Italia”. Il citato articolo prosegue disponendo che “tali funzioni sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni, appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti”. È evidente, quindi, che la sopravvenuta previsione dell’esercizio obbligatorio da parte dei comuni, in forma associata, di importanti funzioni e l’espresso riferimento alle comunità montane contenuto nel citato art. 14, comma 28, privano di effettività ed attualità la doglianza delle Regioni ricorrenti, con la conseguenza che deve essere dichiarata inammissibile la relativa questione di costituzionalità sollevata con i ricorsi introdu
ttivi del presente giudizio. Nei fatti, la sentenza supera anche la distinzione tra “consorzio di funzioni” e consorzio di servizi”, prevedendo la chiara soppressione dei consorzi di funzione ma altrettanto chiaramente anche quella di consorzio di servizi laddove ricorda che “le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall’articolo 21, comma 3”, della legge n. 42 del 2009, “sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti…”.
L’articolo 21 comma 3 della legge n. 42/2009 prevedeva che tra i servizi da considerare vi fosse anche quello relativo alla gestione del territorio e dell’ambiente.
Successivamente, nel definire l’elenco delle funzioni comunali fondamentali da gestire in forma associata obbligatoriamente tramite convenzione o unione (art. 19 del D.L. 95/2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) il settore dell’ambiente non compare più autonomamente seppure è abbastanza chiaro che, nell’elenco, i punti d) (pianificazione urbanistica e edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovra comunale) ed f) (organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi), fanno riferimento alla funzione 9 comunale che è quella riguardante la gestione del territorio e dell’ambiente. Dunque, se pure fosse da considerare come consorzio di servizi e non di funzioni,  sarebbe ugualmente impossibile la gestione tramite consorzio, considerata l’obbligatorietà della gestione associata dei servizi tramite convenzione o unione: e questo in maniera tassativa e inderogabile!
​Rimane una ultima possibilità interpretativa, ossia che il consorzio venga considerato come gestore di un servizio eccedente quello dell’elenco di cui alla legge n. 135/2012. Anche in questo ultimo caso, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 448/2001 che ha escluso il consorzio tra enti locali per le attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale, la forma obbligatoria prevista è quella di “trasformare” il consorzio in forma di servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, ex articolo 113-bis del Tuel, assoggettandolo al regime delle aziende speciali.
In definitiva non c’è spazio alcuno per la creazione di un consorzio.

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