Ultimo aggiornamento alle 22:10
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 6 minuti
Cambia colore:
 

JONNY | Il clan Arena e la caccia alle monete antiche

CATANZARO Isola Capo Rizzuto è ricca di reperti archeologici di varia fattura e pregio. Nel territorio, imperversano, voraci, le archeomafie, gli scavi clandestini che immettono i reperti in un mer…

Pubblicato il: 17/05/2017 – 15:18
JONNY | Il clan Arena e la caccia alle monete antiche

CATANZARO Isola Capo Rizzuto è ricca di reperti archeologici di varia fattura e pregio. Nel territorio, imperversano, voraci, le archeomafie, gli scavi clandestini che immettono i reperti in un mercato “parallelo” illecito. A Isola il diritto di prelazione su ogni bene prezioso trafugato appartiene alla famiglia Arena. Uno spaccato, a tratti grottesco, della grave razzia che sta avvenendo nel Crotonese lo danno le indagini dell’operazione “Jonny”, condotta dalla Dda di Catanzaro, che lunedì ha portato al fermo di 68 persone, più 16 indagati  a piede libero, ritenuti legati al clan Arena. «Fra gli altri reati i componenti della consorteria trafficavano in reperti archeologici organizzandone l’impossessamento e la vendita nel mercato clandestino», scrivono i magistrati specificando che per tali illeciti non si è proceduto al fermo.

IL GATTO E LA VOLPE «Passami la moneta che la voglio vedere ancora, è troppo bella quella moneta…». Antonio Manfredi, 39 anni e Vincenzo Godano, 30, finiti in manette nell’inchiesta “Jonny” perché ritenuti appartenenti all’organizzazione criminale di Isola, hanno per le mani alcune monete antiche di un certo pregio e le devono immettere nel mercato clandestino delle opere d’arte e delle antichità. Sono reperti trafugati ma, visto il territorio nel quale sono stati trovati, ossia Isola Capo Rizzuto, la loro ricettazione è destinata  a passare nelle mani della cosca Arena e, in particolare, in quelle di Francesco Arena. È proprio a lui che i due indagati intendono rivolgersi per portagli il prezioso “bottino”, chiedendosi se lo stesso fosse in grado di valutarne il valore: «Devi vedere… non lo so quanto ci vuole… pensi che Francesco lo sa?… e che vuoi fare la vuoi pulire meglio… o andiamo a fargliela vedere?… gliela facciamo vedere è buona la moneta». I due, in maniera un po’ artigianale, cercano di farsi i conti su quanto potrebbero ricavare dal ritrovamento: «Quanto ci vuole inc… 4… 500?… non ci vogliono una millata di euro?… e se è raro… che è raro che è raro.. non lo so io… è capace pure che costa 300 euro… o 200 euro.. e capace pure che costa mille…», ragionano tra di loro mentre gli agenti della Squadra Mobile di Crotone, guidati da Nicola Lelario, captano la conversazione.
«I due infine – fiduciosi della rarità di quel ritrovamento, circostanza quest’ultima che di per se avrebbe significato un maggior guadagno – convenivano di affidare, in ultima istanza, la valutazione a Francesco Arena, anche attraverso accurate ricerche informatiche», scrive il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Domenico Guarascio.

LA «PAPERICCHIA» Manfredi e Godano non parlano solo di reperti numismatici. «Ma lui lo aveva visto questo anello?», si chiedono riferendosi sempre a Francesco Arena che è il loro punto di riferimento per l’immissione degli oggetti nel mercato “parallelo”. Il bottino è prezioso, i reperti raccattati con gli scavi clandestini possono valere una fortuna per i due compari che se li passano di mano sognando lauti guadagni: «Passami la moneta che la voglio vedere ancora, è troppo bella quella moneta… se la… la pulisci.. l’aquila… però la dovevano pulire meglio… tieni qua… Francè la vuoi pulita 50 euro in più.. lui ora si è imparato che appena li prende… e li mette all’asta». L’elenco prosegue anche se con linguaggio poco tecnico: «Ti sei dimenticato che c’è la papericchia (fonetico) qua… ma quale cazzo di papericchia è quella?… e che gli devi portare a Francesco?». E, ancora, ci sono «quella medaglietta e quel bicchierino», senza contare le “alleanze”, reperti numismatici che secondo Godano sono di particolare pregio e valore e potrebbero interessare a Pasquale Arena, alias “nasca”. I due non stanno nella pelle: «… e l’alleanze valgono?… ai la madooo.. un sacco di soldi… quello… già me lo immagino che la vuole vedere… la vediamo la controlliamo insieme… ora ti faccio vedere ora che porta le monete… “nasone”… quanti soldi facciamo… ogni volta 2… 3 mila euro… 2… 3 mila euro… poi vedi… noi ci dobbiamo strofinare nella terra… le troviamo e glieli portiamo».

LE “ASTE” Gli indagati, che sperano di rivendere al miglior prezzo i loro ritrovamenti, sanno che il destino di quegli oggetti sarà di essere messi “all’asta”. Così i due prospettano di ritornare sul luogo del ritrovamento «proponendosi di setacciarlo minuziosamente». Ma, prima, hanno fretta di mettersi in contatto con Francesco Arena. Decidono, però, di non contattarlo direttamente ma di rivolgersi a Franco Caiazzo, persona ritenuta affidabile perché «a detta dei due, non amava bighellonare per le strade del paese». 
Anche Caiazzo ha per le mani i suoi ritrovamenti ed elargisce ai due «giudizi di qualità e di merito in riferimento ai reperti, con suggerimenti operativi finalizzati alla valutazione e alla presunta rarità dei pezzi numismatici». A ogni modo Caiazzo fa sì che i due compari riescano ad incontrare Giuseppe Arena, detto “tropeano” col quale conversano di processi e archeologia.

I CONCORRENTI E IL CANE DI MANDRIA Non mancano i “concorrenti” nel difficile mondo delle archeomafie. Manfredi e Godano lo sanno e se ne lamentano raccontando di un “tragiratore” che non li ha chiamati quando ha trovato 200 statere (monete greche) e le ha vendute a Francesco Arena per 25 mila euro. Un gesto da «infame». «Neanche mi devono salutare a me… neanche mi devono salutare a me… che sono infami… non mi hanno chiamato a me per dirmi… vedi che sono usciti… le monete… dopo che io l’ho chiamato… quando ho trovato il braccialetto», è il commento. Il desiderio di vendetta per lo sgarro è forte: «…vedi che ti faccio vedere dove abita… che macchina ha?.. una Panda?… e mi ha detto pure che… lui ha la testa di leone mia… e mi ha detto che gliel’hanno rubata… una panda ha?… ti faccio vedere come gli metto fuoco». Ma il giudizio non è positivo nemmeno nei confronti di Francesco Arena che commerciando con i reperti trafugati aveva messo su un notevole patrimonio col quale alimentava ulteriormente la cassa della cosca, con molto guadagno per sé e poco per chi “scava”. «… che Francesco un altro infame è… ora gli dico che li ho pagati poco… così se li trovano… inc… che perché si è ingrandito lui… che compra le monete… con tutto il guadagno che gli ho fatto fare io, guadagno che gli hai fatto fare tu… e il guadagno che gli fanno fare gli altri…. lui magari… spende mille euro… e ne guadagna 10.000… i mille euro suoi se li entra con il guadagno… e i dieci mila compra di nuovo… questo fà… noi lo abbiamo fatto ingrandire a questo cane di mandria…», commenta Godino rivolgendosi all’amico.

LE PERQUISIZIONI Il 25 luglio 2015 a casa di Manfredi la polizia giudiziaria rinveniva e sequestrava un metal detector nonché oggetti e monete di interesse storico ed archeologico risalenti, tra l’altro, all’epoca greca, romana, bizantina, riportanti evidenti tracce di terra chiara. A settembre in casa di Caiazzo venivano trovati un metal detector, 43 reperti archeologici (anelli, monete in bronzo e argento, pesetti, un’ampolla “del pellegrino” ed altro), riferibili ad un arco temporale compreso tra l’età magno – greca e l’alto Medio Evo.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x