Non la conosco. Non l’ho mai vista. Ho solo letto decine e decine di lettere che ha scritto sul più noto dei social network. Non mi vergogno di dire che una volta mi sono commosso, un’altra volta le ho chiesto l’amicizia, un’altra ancora ho pianto. Poi le ho chiesto il numero di telefono. Me l’ha dato subito, e non perché – lo ha precisato, ma era scontato – lei dà il numero a tutti, ma solo perché mi conosceva, diciamo così, di video. L’ho chiamata un paio di volte, ma solo una volta l’ho trovata allegra e, un tantino, spensierata. Le altre volte, sempre presente, ma intrisa di tristezza e di umanità, di voglia di parlare e di farsi capire, al di là delle parole dette, o delle lettere pubblicate. O delle considerazioni fatte sul social. Insomma di non essere fraintesa. Si chiama Rosita Terranova, è residente in provincia di Cosenza, ma domiciliata nella città de’ Bruzi. Dove vive (vive?), paga le tasse e si affaccia dal balcone, di tanto in tanto. La scansione del tempo di Rosita è fatta di vita vissuta con,d entro e attorno a suo figlio Antonio Maria, sette anni, gravemente disabile ed handicappato. E lei, da quando è nato, il sette giugno 2010, vive di e con lui. Un modo di (non) vivere che è unico al mondo, o quasi. Rosita avrebbe dovuto e voluto portare il figlio a scuola. Lo iscrive nel 2015 ma, viste le condizioni di salute, la dirigente scolastica fa richiesta del pullmino con pedana e assistente alla persona che deve accompagnare Antonio Maria durante il trasporto. Tutto normale direte. No, sembrava facile. Antonio Maria, come la madre è solo domiciliato a Cosenza, quindi il Comune fa sapere a Rosita, che non può occuparsi di suo figlio. La burocrazia, benedetta sempre questa nostra burocrazia, glielo impedisce, pertanto la madre di Antonio Maria riceve risposte negative, anche se abitando a Cosenza, con regolare contratto di fitto, a Cosenza paga le tasse. Si mettono in contatto gli uffici dei due comuni interessati, ma la situazione non si sblocca.
Allora Rosita paga un avvocato perché segua la incredibile questione, paga le raccomandate che scrive anche per evitare l’accusa di essere una genitrice che non manda il figlio alla scuola dell’obbligo, che non guarda in faccia nessuno. Il bambino è una pratica da seguire, non un caso umano e doloroso. Ad oggi, Antonio Maria non sa cosa sia la scuola. Rosita Terranova sostiene – e non si può non crederle – scrive che accompagnerebbe suo figlio a scuola anche a piedi, ma il percorso per il bambino, e per lei, è terribilmente accidentato. «Se lo facessi, mi dice la madre di Antonio Maria, metterei a rischio non solo la mia salute fisica, già ampiamente minata dallo stress e dalla fatica immane che quotidianamente faccio, perché mi prendo cura da sola del mio bimbo, ma metterei in serio pericolo l’incolumità di Antonio Maria».
Non prova rabbia Rosita, lo si capisce dal tono di voce, ma è indignata per le ingiustizie di cui è vittima. La sua è una battaglia non personale, ma per tutti coloro che muoiono di fame, di sete, di chi subisce violenza fisica e psicologica, a favore delle persone abbandonate, insomma in favore di quanti sono limitati nelle loro azioni. Cosa mi ha fatto piangere e dirle che da oggi «io mi chiamo Rosita»? Quando mi ha detto che ha la «fortuna» di avere un figlio che ragiona, che percepisce il mondo ed interagisce con esso come se avesse tre mesi di vita nonostante si avvicini agli otto anni. Adesso mi sono spiegato meglio? E questo, paradossalmente, consente ad Antonio Maria di non comprendere i limiti che ha e neanche le “cattiverie” che gli vengono regalate da quando è nato.
Rosita la sua battaglia continua, nonostante tutto? «Io agisco sopra ogni sforzo, agisco “a costo di morire”». Che fai non piangi? Come trattieni le lacrime? Però, Rosita non può morire per portare a scuola il figlio, ma perché Antonio Maria ha solo lei. (Rosita è separata, ma non ha mai sfiorato la questione) Antonio Maria può vivere solo ed unicamente attraverso me, mi aggiunge. Perché? Trova una espressione da Nobel. «Lui è completamente non autonomo in tutto. Ed io non posso morire, davvero. Mio figlio dipende totalmente da me».
Ma non è finita, qui. Non mi sento in colpa, dice ancora, se, per prendermi cura di lui, 24 ore su 24, da quando è nato, ho dovuto smettere di lavorare, divenendo una giovane donna povera. Pago, però le tasse ed ho il diritto, aggiunge ancora, che mi si rispetti e che si rispetti un diritto costituzionalmente garantito. «Amore di mamma, non mi impedire di parlare, parlerò fino a quando i diritti tuoi e quelli di tutti non saranno rispettati». Naturalmente Rosita Terranova non ha più fiducia nella politica. «Violare e negare un diritto in maniera reiterata, autorizza la persona a cui tale diritto viene negato a delinquere, al colmo della esasperazione, finanche ad uccidere, ad uccidersi, a rubare, a corrompere e farsi corrompere, a farsi giustizia da sé».
C’è qualcuno che non possa comprenderla? Rosita Terranova non vuole che sia solo suo figlio a poter andare a scuola. Se riuscirò in questo, non avrà risolto nulla. E lei non sarà comunque felice. Il giorno della festa della Mamma Rosita ha ringraziato la sua di madre, tutte le madri che accudiscono i loro bambini, sua sorella Mara, che considera anche lei madre di suo figlio e sua di madre, ma anche a quanti le scrivono parole di amore al posto di quel figlio che adora e che mai potrà dirle e scriverle alcuna parola….
Alla fine, Rosita ringrazia Antonio Maria, che le consente di esistere, pronta a scrivere nuove pagine di una vita che le ha concesso il lusso di essere mamma. L’amore di chi le scrive è il suo inchiostro, me lo dice serena, per quanto possa essere. Tu, Antonio Maria, sei la mia penna.
Io da oggi mi chiamo Rosita. Farò, con Lei le battaglie che sarò, nel mio piccolo, in grado di fare, perché anche le formiche, nel loro piccolo sono incazzate. Rosita, la mia mano non basterà, intanto te la do, prontissimo a fare quel che sarò capace. Non sarà molto, credimi. Grazie, Rosita.
*giornalista
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