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I clan di Lamezia volevano emulare gli attentati a Falcone e Borsellino – INTERCETTAZIONI

CATANZARO A Lamezia dovevano rifornirsi di tanto materiale esplosivo da «rifare Falcone e Borsellino». Erano questi i propositi dei clan. A parlare – mentre i carabinieri del Nucleo investigativo e…

Pubblicato il: 23/05/2017 – 10:34
I clan di Lamezia volevano emulare gli attentati a Falcone e Borsellino – INTERCETTAZIONI

CATANZARO A Lamezia dovevano rifornirsi di tanto materiale esplosivo da «rifare Falcone e Borsellino». Erano questi i propositi dei clan. A parlare – mentre i carabinieri del Nucleo investigativo e della compagnia di Lamezia Terme lo stanno monitorando –  è Antonio Miceli, considerato il reggente delle nuove leve della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”. Nuove leve giovanissime fermate nel corso dell’operazione “Crisalide”, coordinata dalla Dda di Catanzaro. Un’età media di 25 anni e un desiderio: portare il «terrore» nella città della Piana. Le immagini raccolte dai carabinieri sintetizzano in pochi minuti gli atti intimidatori che la giovane cosca aveva organizzato ai danni dei commercianti della città. Bottiglie incendiarie, esplosioni, minacce siglate da proiettili e bigliettini. Tra le decine e decine di capi di imputazione attribuiti agli indagati, 21 si riferiscono ad atti intimidatori. «Lo scopo di questa operazione è quello di azzerare questa famiglia di ‘ndrangheta», ha detto il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Lo scopo è anche quello di «guardare al Lametino con maggiore serenità».

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(L’intervista a Nicola Gratteri)

L’APPOGGIO ELETTORALE Le giovani leve della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri” avevano iniziato a prendere piede nel panorama criminale locale con lo spaccio di sostanze stupefacenti per poi passare alle estorsioni, alle intimidazioni, ai reati in materia di armi. Tanto l’esplosivo ritrovato in possesso della cosca, senza contare un arsenale costituito anche da kalashikov e bazooka. Ma non solo. Le indagini dell’operazione “Crisalide” – che martedì ha portato al fermo di 52 persone – hanno rivelato che il clan guidato da Antonio Miceli voleva crescere anche inserendosi nel contesto politico di Lamezia Terme. Nel corso delle passate elezioni amministrative aveva deciso dare appoggio ad alcuni candidati, su richiesta degli stessi. Gli incontri, ha spiegato il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri, avvenivano nella base operativa della cosca. I carabinieri hanno ripreso un candidato col cappuccio della felpa calato in testa per non farsi riconoscere, recarsi a incontrare alcuni esponenti del clan. Inoltre era stato deciso che i manifesti elettorali dei candidati di riferimento dovessero essere gli unici a restare in piedi nell’area del quartiere di Nicastro sotto il controllo dei “Cerra-Torcasio-Gualtieri”. Le indagini sui presunti rapporti tra gli ambienti politici e la cosca sono in divenire. Nella mattina di martedì i carabinieri hanno effettuato delle perquisizioni mirate ad approfondire i legami tra ambienti politici e criminalità organizzata. 

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(L’intervista al procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri)

IL NUMERO OSCURO Decine di eventi estorsivi e nessuna denuncia. C’è un “numero oscuro”, come lo ha definito Marco Pecci, comandante generale dei carabinieri di Catanzaro. È il profondo gap tra le decine di atti intimidatori e la reazione della popolazione. Lo ribadisce il comandante del Nucleo investigativo, Fabio Vincelli: «A Lamezia tutti sapevano quello che faceva Antonio Miceli. Denunce zero». Miceli, che prende le redini della consorteria subentrando a Ottorino Ranieri (condannato nel corso del processo Chimera), che piazza ordigni esplosivi e si compiace: «Ho fatto tremare Nicastro». Un’escalation – dice il comandante della compagnia di Lamezia, Pietro Tribuzio – che arriva a prendere di mira anche la comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza. Una crisalide che prende velocemente piede e si allarga sul territorio, è la definizione del colonnello Alceo Greco, comandante del Reparto operativo di Catanzaro. La cosca cerca di crescere a suon di intimidazioni e prendendo contatto, per gli acquisti illeciti, con fasce criminali di fuori regione. Dall’inizio dell’anno ad oggi – spiega Pecci – sono stati effettuati circa 100 arresti. L’invito, espresso anche dal generale Vincenzo Paticchio, comandante della Legione carabinieri Calabria, è a «ribellarsi davanti ai soprusi», a colmare quel gap e cancellare il “numero oscuro”.

 

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it