COSENZA La diga di Tarsia esiste da decenni e dà acqua a parte della piana di Sibari. Eppure – si scopre da una recente comunicazione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – si trova, per carenze tecniche, nella fase degli invasi sperimentali dal 1966. Un record, visto che questa fase di vita delle dighe si aggira sui 5-6 anni. Uno dei soliti paradossi calabresi? Probabilmente sì, ma qui i problemi rischiano di ricadere sugli agricoltori, visto che il ministero non ha soltanto segnalato l’anomalia ma ha anche disposto una limitazione d’invaso a causa della cattiva gestione. Fuori dai tecnicismi: per la Sibaritide potrebbe essere un’estate con serie carenze idriche. E senza acqua i rischi per l’agricoltura (e non solo) sono enormi.
LA LETTERA DEL MINISTERO Il caso è evidenziato nella comunicazione inviata da Roma al direttore generale del Consorzio di bonifica dei Bacini dello Jonio cosentino, Biagio Cataldi, assieme alla Regione, alla Direzione generale per le dighe, alla Prefettura di Cosenza e alla commissione di collaudo. L’ufficio di coordinamento del ministero «ha evidenziato che gli invasi sperimentali della traversa in oggetto iniziati nel 1966 si sono interrotti al primo incremento del livello di invaso in conseguenza di una serie di problemi tecnici e per il mancato adempimento alle disposizioni normative cogenti nel frattempo intervenute». Il blocco va avanti da anni e «fa sì che è di fatto attuato un esercizio provvisorio dell’opera in carenza del collaudo tecnico». L’opera – stando a quanto si legge – sarebbe provvisoria da 50 anni. Incredibile. Proprio come il fatto che «le iniziative negli anni via via intraprese non hanno trovato conclusione». Nessun «riscontro» alla richiesta di definire «un percorso di soluzione dei diversi problemi tecnici». Nessun programma sulle «attività che necessitano di una progettazione (o riprogettazione) e quelle di studio (aggiornamento delle verifiche di sicurezza sismica)». Interventi: zero. Anche dopo la riunione del 16 gennaio con il concessionario della diga e il dipartimento Agricoltura della Regione.
IL “TAGLIO” DELL’INVASO Il Consorzio che gestisce, a cui è rivolto il j’accuse del ministero, ha spiegato che «il mancato collaudo tecnico dell’opera» è «la conseguenza della mancata assegnazione di adeguate risorse finanziarie». Ma – dopo le tante segnalazioni – il tempo è scaduto e al ministero non resta che “tagliare” la quota massima dell’invaso dagli attuali 54 metri a 51,5 metri «con la possibilità di temporaneo superamento fino alla quota di 54 metri solo in caso di concomitante evento di piena». E potrebbe non finire qui, perché «in caso di perdurante inadempienza» i limiti potrebbero essere addirittura ridefiniti al ribasso. Colpa di una gestione – quella del Consorzio di Trebisacce, controllato da Coldiretti e presieduto da Marsio Blaiotta, che guida anche l’Urbi Calabria – che il ministero, con la nota, considera insufficiente. I guai, però, potrebbero ricadere sugli agricoltori. I 3,5 metri di riduzione del livello d’invaso, infatti, potrebbe tagliare di molto il volume di acqua autorizzato, che potrebbe scendere da 6 a 3 milioni di metri cubi. Tolti i sedimenti depositati sul fondo (non pochi, visto che il Crati, fiume “chiuso” dalla diga, ne trasporta parecchi), di risorse idriche potrebbero restarne davvero poche. Probabilmente non sufficienti a placare la “sete” della Sibaritide. Capita, quando opere che nel resto d’Italia si completano in 6 anni, restano incompiute per cinquanta. (ppp)
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