REGGIO CALABRIA «Non esti comu nt’all’anni Ottanta. Chistu esti n’autru 2008. Anzi peggiu». Ufficialmente, a Reggio Calabria nessuno sa, nessuno vede, nessuno parla. Ma nei bar della periferia nord e in quelli che di notte diventano punto di riferimento per chi tira tardi o si sveglia prima dell’alba, fra un cornetto e un caffè corretto sambuca, la città mormora. Magari guardando i giornali appena arrivati o le notizie pubblicate dai portali online e rilanciate dai social. Da mesi, le pagine della cronaca locale si sono riempite di danneggiamenti, auto date alle fiamme, intimidazioni più o meno eclatanti, omicidi.
LA BREVE “NUOVA VITA” DELL’EX CARABINIERE L’ultimo in ordine di tempo è quello dell’ex carabiniere Bruno Ielo, 66enne di Catona che dopo una vita nell’Arma si è reinventato una nuova vita da tabaccaio. Almeno fino a ieri sera, quando un sicario a bordo di uno scooter gli ha sparato contro due proiettili calibro 7,65. La figlia, che lo precedeva in auto, ha sentito i due colpi e dallo specchietto ha guardato impotente il motorino del padre sbandare e poi cadere, mentre un altro scooter si allontanava veloce. Per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Il proiettile che lo ha colpito alla mandibola non gli ha lasciato scampo.
CONTESTO DA CHIARIRE «Qui non si uccide per una rapina – dice il procuratore Federico Cafiero de Raho –. E non è credibile neanche la pista dell’estorsione, banalmente perché, uccidendo, gli estortori perderebbero la possibilità di incassare il denaro che pretendono. Il contesto va chiarito». Da ieri notte gli investigatori della Squadra mobile sono al lavoro per tentare di capire il movente dell’agguato in cui il tabaccaio ha perso la vita. I filmati delle telecamere di videosorveglianza della zona vengono passati al setaccio e sono stati ordinati in fretta gli approfondimenti tecnici sulla pistola trovata vicino al cadavere dell’uomo, per capire in primo luogo se possa essere di Ielo o dei sicari che lo hanno ucciso. Al momento, gli investigatori sembrano escludere la pista della rapina. Ieri notte, il tabaccaio aveva in tasca 7mila euro, che nessuno ha toccato. Lo scooter non si è neanche avvicinato all’uomo riverso a terra.
INDAGINI INCROCIATE Per questo si scava anche a ritroso, nelle pieghe dell’indagine partita sei mesi fa dopo un tentativo di rapina subito da Ielo, che nel novembre scorso, durante la colluttazione con due uomini è rimasto ferito da un proiettile che gli ha attraversato la guancia. Sull’episodio le indagini sono ancora in corso ma, secondo indiscrezioni accreditate, potrebbero essere coinvolti due sorvegliati speciali, già da tempo finiti al centro di vari fascicoli per detenzione di droga e rapina. Uno di loro sarebbe già in carcere perché trovato in possesso di diverse dosi di eroina e cocaina, ma l’altro è ancora a piede libero. Se abbiano a che fare con la criminalità organizzata non è dato sapere, tanto meno se l’omicidio di ieri possa portare una firma di ‘ndrangheta. Di certo, da tempo l’uomo rimasto in circolazione viene regolarmente monitorato dagli investigatori.
ZONA NORD SOTTO OSSERVAZIONE Così come vengono regolarmente monitorate la zona di Catona e tutta la periferia nord. Non solo perché non più tardi di un mese fa sempre a Catona si è verificato un altro omicidio, costato la vita al 34enne Tarik Kacha, marocchino d’origine, ma nato e cresciuto nella periferia nord, secondo alcune fonti, entrato giovanissimo nel “vivaio” di pusher e manovali al soldo del clan Rugolino. Ma soprattutto perché in tutta la zona nord c’è da tempo qualcosa che non va.
GUERRA AD ARCHI «Chisti sunnu pacci, non sentunu a nuddu» si dice con preoccupazione nei bar dei ben informati. E ad Archi, Gallico, Santa Caterina, San Brunello, Tremulini, tutti cantano la stessa impaurita canzone. Perché la bomba – mormorano – sta deflagrando all’interno di due clan che da tempo sono una cosa sola. Fra i De Stefano e i Tegano da qualche tempo sembra esserci più di un problema.
VUOTI DI POTERE Quelli che gli inquirenti considerano gli strateghi e i riservati del clan che fu di don Paolino negli ultimi anni sono rimasti impigliati, uno dopo l’altro, nelle maglie delle inchieste. E arresti, processi e condanne hanno da tempo fatto piazza pulita dei capi operativi in grado di far mordere il freno a giovani e scalpitanti nuove leve. Ecco perché c’è chi parla di un nuovo 2008, quando la crescente tensione fra le due storiche famiglie di ‘ndrangheta, costata omicidi, gambizzazioni e danneggiamenti, si è placata solo dopo la “scomparsa” del rampante Paolo Schimizzi. Troppo rampante secondo alcuni. E forse troppo vicino ai De Stefano.
GLI ASPIRANTI BOSS Oggi – dicono i ben informati – sulla piazza non ci sono uomini della sua caratura criminale. Tanto meno soggetti che abbiano la medesima visione strategica. Ma ci sono una serie di “giovanotti”. Affamati di gloria e potere. Anzi – dicono in molti – uno in particolare. E con Giovanni De Stefano, Paolo Rosario De Stefano e soprattutto Vincenzino Zappia, il delegato unico del capocrimine Giuseppe De Stefano, dietro le sbarre, il “ragazzino” ha iniziato a pretendere spazio e ruolo. Magari, in nome di un casato mafioso di cui porta orgogliosamente il nome. E in forza di un gruppo di giovani e feroci accoliti, magari galvanizzati da due “botte di bianca”, che non hanno timore a pretenderlo. Anche con le bombe.
ESCALATION Ne ha parlato il pentito Mario Gennaro nel corso di un interrogatorio, durante il quale ha ricordato come quel giovane figlio di boss non abbia esitato a far saltare un centro scommesse di fronte a un bar frequentatissimo e in un orario in cui poteva provocare una strage. Ne hanno parlato i lavoratori e gli habitué della movida notturna estiva, che due anni fa hanno assistito e subito più volte i raid nei locali portati a termine dal branco capeggiato dal piccolo boss, faccia pulita, mente feroce. Per quell’estate di terrore, in carcere sono finiti i buttafuori clandestini che sui lidi imponevano la guardiania del clan Condello, ma i blitz dei Tegano – che con i Condello, dalla fine della guerra sono sempre andati a braccetto – sembrano al momento estranei dal contesto di indagine. «Sono tutti in giro – dice chi lavora di notte e chi frequenta i locali – e continuano a fare danni».
TRACCE E FIRME Nessuno parla, nessuno si esprime. Ma se si fa attenzione ai sussurri, Reggio sa e mormora. E sono in molti ad avere il sospetto che vada cercato fra gli “arcoti” il misterioso uomo col volto nascosto dal passamontagna, che a due giorni dall’operazione Eracle ha seminato il terrore nella nota cremeria Sottozero, sparando contro il bancone, solo per distruggere tutte le bottiglie. Anche la tensione che si registra da tempo in zona Tremulini non è passata inosservata ai più. In quel quartiere termometro, negli ultimi mesi un negozio di alimentari è saltato in aria, le fiamme hanno divorato la veranda esterna di un bar e un’auto è stata fatta saltare in pieno giorno accanto alla sede operativa dei carabinieri forestali. Se si tratti di episodi isolati o rispondano ad un’unica strategia, non è dato sapere. Tanto meno si sa a chi attribuirli. Almeno per adesso. Anche perchè ci sono altri dettagli che alla città non sfuggono.
IL RAMPOLLO DEL NORD «Perché, secondo te, quegli altri stanno a guardare? Sono “ttaccati”, ma mica tutti» si dice con certezza in un bar di zona Nord. E secondo fonti investigative è plausibile. Se ad Archi i giovani del clan Tegano alzano la cresta e pretendono acqua in cui nuotare, i segnali che i De Stefano si stiano riorganizzando non mancano. «Non hai visto chi c’è?» commenta, con fare di chi sa, un avventore. In città, da qualche tempo è tornato a farsi vedere uno dei rampolli
del clan, qualche anno fa mandato a svernare al Nord, perché troppo e troppo presto si era fatto notare dagli investigatori. E il suo ritorno non è stato nascosto. Al contrario. Ha accompagnato la moglie di un boss da tutti riconosciuto alla lettura del dispositivo di una sentenza fondamentale – e devastante – per i clan reggini. A nessuno la cosa è sembrata una casualità.
L’OMBRA DI CARMINE Della stessa opinione sembrano essere gli inquirenti, che con l’operazione Trash e l’arresto di Paolo Rosario e Orazio De Stefano pare abbiano voluto disinnescare il conflitto al momento strisciante, prima di una potenziale, devastante, degenerazione. A breve uscirà dal carcere Carmine De Stefano, figlio di don Paolino, fratello del capocrimine Peppe, ma soprattutto – dice chi su di lui ha investigato – l’unico capo dotato di lucida follia criminale sufficiente a scatenare una guerra. E dotato dell’autorità criminale per farlo. Le armi – hanno dimostrato gli ultimi sequestri – non mancano.
ARRESTO FORTUNATO Non più tardi di qualche settimana fa, quattro persone considerate a vario titolo legate all’entourage destefaniano – Gianfranco Musarella, Antonio Marra, Giovanni Marra e Alessandro Marra – sono state fermate per l’estorsione continuata ai danni di una pizzeria. Nel corso delle perquisizioni seguite all’arresto, gli investigatori hanno trovato un vero e proprio arsenale.
L’ARSENALE Un fucile mitragliatore kalashnikov Ak 47, una mitragliatrice modello Uzi cal. 9×19, privo di matricola, una pistola semiautomatica marca Beretta cal. 9 parabellum, con matricola obliterata, un revolver cal.32, con matricola obliterata, una pistola semiautomatica marca Beretta cal. 9 corto; una pistola a salve cal. 8, priva di tappo rosso, con evidenti segni di manomissione; quattro fucili cal. 12, di cui 3 con matricola abrasa; due carabine, più un’altra ad aria compressa, varie parti di arma per uso da caccia, quattro 4 silenziatori, varie cartucce cal. 9 parabellum, calibro 12, 7,65 e 7.62×39, varie divise di una ditta di vigilanza, passamontagna, guanti, caschi ed attrezzi da scasso. «Non sono armi che servono per fare una rapina – dice un investigatore di lungo corso – con le mitragliette si ammazza». Dopo settimane di silenzio, uno degli indagati nel corso di un interrogatorio, ha provato a sostenere di averle trovate casualmente, seguendo uno sconosciuto che le avrebbe depositate e abbandonate, giusto un paio di giorni prima dell’arresto.
ARMI E ANCORA ARMI Altre armi sembra fossero nella disponibilità di Cocò Morelli, uomo della comunità rom di Arghillà “battezzato” ‘ndranghetista dal boss Rugolino in persona, arrestato solo qualche settimana fa. Dalle carte dell’inchiesta che lo ha portato in carcere, emergono decine di conversazioni che riguardano pistole e fucili da prestare o smerciare. E più volte, carabinieri e polizia hanno trovato armi e proiettili nascosti ad Arghillà o in zone limitrofe. Solo sei giorni fa invece, altre armi – un fucile semiautomatico con canna mozzata e matricola abrasa e un revolver cal.352 magnum con 6 bossoli nel tamburo – sono state trovate in un rudere abbandonato a San Cristoforo, insieme a un ciclomotore privo di targa, che dagli accertamenti effettuati è risultato rubato nel giugno del 2015, ed una targa di ciclomotore rubata lo scorso mese di aprile.
INCOGNITA LIBRI «Zona dei Libri» si sentenzia nei soliti bar. E proprio i Libri rimangono la grande incognita del prossimo periodo. Lo storico casato di ‘ndrangheta che la seconda guerra ha incoronato “custode delle regole”, con la morte degli anziani capobastone ha visto offuscata la propria stella. Ma non ha mai rinunciato alle antiche pretese di gloria. Magari da avanzare, come in passato, per interposta persona.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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