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Reggio, ritrovate nove bombe nel Calopinace

REGGIO CALABRIA Nove bombe, un mitragliatore kalashnikov con due caricatori, uno dei quali vuoto, e due fucili a canne mozze calibro 12, nascosti in sacchi neri e buttati come se fossero immondizia…

Pubblicato il: 02/06/2017 – 14:27
Reggio, ritrovate nove bombe nel Calopinace

REGGIO CALABRIA Nove bombe, un mitragliatore kalashnikov con due caricatori, uno dei quali vuoto, e due fucili a canne mozze calibro 12, nascosti in sacchi neri e buttati come se fossero immondizia. Li hanno trovati gli uomini della Squadra volanti della questura di Reggio Calabria, nei pressi della bretella del torrente Calopinace, grazie ad una segnalazione arrivata in sala operativa. Chi ha chiamato ha sostenuto di aver visto due uomini disfarsi di diversi sacchi di cellophane con fare sospetto e per questo avrebbe deciso di avvertire la polizia. In realtà, sospettano gli investigatori, non si esclude che a fare la chiamata sia stato chi di quelle armi ha deciso di disfarsi. E in modo estremamente pericoloso. 

ARMI IN PESSIME CONDIZIONI MA PERICOLOSE Dentro le buste – hanno scoperto gli agenti – non c’era semplice spazzatura, ma un vero e proprio arsenale. Probabilmente, dicono fonti investigative, quelle armi erano nascoste da qualche e qualcuno ha deciso di disfarsene perché in pessimo stato di conservazione. Nessuno dei fucili era funzionante, ma le bombe erano comunque pericolose. Il rischio che qualcuno, colpendo accidentalmente un sacco o sollevandolo per rimuoverlo, le innescasse c’era. 

OPERAZIONE DELICATA Solo grazie allo sguardo attento degli agenti delle Volanti è stato possibile portarle via in sicurezza. La squadra che è intervenuta ha visto un cavo elettrico che usciva da uno dei sacchi e ha deciso di chiamare gli artificieri. Per operare in sicurezza, i tecnici hanno fatto evacuare persino un palazzo vicino e solo dopo molte ore di lavoro sono riuscite a disinnescarle. «Questa volta è andata bene» commentano fonti investigative. Ma il dato rimane allarmante, soprattutto alla luce del clima di crescente tensione in città, dove negli ultimi mesi si registrano sempre più frequentemente attentati, intimidazioni e persino fatti di sangue. 

INTIMIDAZIONI E OMICIDI Non più tardi di un mese fa a Catona è stato ucciso il 34enne Tarik Kacha, marocchino d’origine, ma nato e cresciuto nella periferia nord, secondo alcune fonti, entrato giovanissimo nel “vivaio” di pusher e manovali al soldo del clan Rugolino. La settimana scorsa invece stessa sorte è toccata a Bruno Ielo, ex carabiniere reinventatosi tabaccaio, ucciso in un agguato mentre tornava a casa in scooter. Omicidi forse slegati fra loro, al pari dei danneggiamenti e delle intimidazioni che stanno colpendo diverse attività in città, ma che si registrano mentre una giovane – affamata – generazione di piccoli aspiranti boss si affaccia sulla scena criminale della città. Giovani leve di storici casati mafiosi, che iniziano a pretendere spazio e ruolo approfittando del vuoto di potere aperto da arresti, processi e condanne.

NUOVE AFFAMATE LEVE Un’ascesa preoccupante, alla quale potrebbero rispondere con violenza – questa è l’ipotesi investigativa – quelli che vedono il proprio potere messo in discussione. Un’ipotesi in parte confermata dalle numerose armi che stanno saltando fuori in città e nelle zone limitrofe. Non più tardi di qualche settimana fa, quattro persone considerate a vario titolo legate all’entourage destefaniano – Gianfranco Musarella, Antonio Marra, Giovanni Marra e Alessandro Marra – sono state fermate per l’estorsione continuata ai danni di una pizzeria. Nel corso delle perquisizioni seguite all’arresto, gli investigatori hanno trovato un vero e proprio arsenale.

L’ARSENALE Un fucile mitragliatore kalashnikov Ak 47, una mitragliatrice modello Uzi cal. 9×19, privo di matricola, una pistola semiautomatica marca Beretta cal. 9 parabellum, con matricola obliterata, un revolver cal.32, con matricola obliterata, una pistola semiautomatica marca Beretta cal. 9 corto; una pistola a salve calibro 8, priva di tappo rosso, con evidenti segni di manomissione; quattro fucili calibro 12, di cui 3 con matricola abrasa; due carabine, più un’altra ad aria compressa, varie parti di arma per uso da caccia, quattro 4 silenziatori, varie cartucce cal. 9 parabellum, calibro 12, 7,65 e 7.62×39, varie divise di una ditta di vigilanza, passamontagna, guanti, caschi ed attrezzi da scasso. «Non sono armi che servono per fare una rapina – dice un investigatore di lungo corso – con le mitragliette si ammazza». Dopo settimane di silenzio, uno degli indagati nel corso di un interrogatorio, ha provato a sostenere di averle trovate casualmente, seguendo uno sconosciuto che le avrebbe depositate e abbandonate, giusto un paio di giorni prima dell’arresto.

ARMI E ANCORA ARMI Altre armi sembra fossero nella disponibilità di Cocò Morelli, uomo della comunità rom di Arghillà “battezzato” ‘ndranghetista dal boss Rugolino in persona, arrestato solo qualche settimana fa. Dalle carte dell’inchiesta che lo ha portato in carcere, emergono decine di conversazioni che riguardano pistole e fucili da prestare o smerciare. E più volte, carabinieri e polizia hanno trovato armi e proiettili nascosti ad Arghillà o in zone limitrofe. Solo sei giorni fa invece, altre armi – un fucile semiautomatico con canna mozzata e matricola abrasa e un revolver cal.352 magnum con 6 bossoli nel tamburo – sono state trovate in un rudere abbandonato a San Cristoforo, insieme a un ciclomotore privo di targa, che dagli accertamenti effettuati è risultato rubato nel giugno del 2015, ed una targa di ciclomotore rubata lo scorso mese di aprile. «Di armi ne sono sempre girate tante a Reggio Calabria, ma adesso – dice un investigatore – iniziano ad essere troppe».

a. c.

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