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La terza via oltre la destra e la sinistra

Stiamo vivendo un momento topico: la discussione sulla legge elettorale, dopo i lunghi tormenti che ha vissuto e che tutti conosciamo, sembra trovare uno spazio politico di consenso. È un momento i…

Pubblicato il: 05/06/2017 – 11:58

Stiamo vivendo un momento topico: la discussione sulla legge elettorale, dopo i lunghi tormenti che ha vissuto e che tutti conosciamo, sembra trovare uno spazio politico di consenso. È un momento importante perché la legge elettorale concorre in maniera forte a modellare il sistema politico. Non è un caso che molte delle forze politiche stiano alacremente sciamando verso nuovi posizionamenti o aggregazioni. 
Ma, al di là della discussione politico-istituzionale sulla legge elettorale – condivisibili o meno gli approdi che lascia prefigurare –, il dato di fondo su cui è tempo di riflettere riguarda il futuro della democrazia. 
Il vero rischio che corrono le società democratiche è che non vi sia «politica». E non v’è politica dove manchi l’antagonismo: la contrapposizione netta, chiara e pacifica tra due diverse visioni del mondo e della società. La politica non è neutra, né, ancor meno, può farsi calderone. 
La direzione, strutturalmente e funzionalmente orientata a tutto contenere, è assai rischiosa, perché, portando «oltre la destra e la sinistra», non fa che spalancare le porte a quella che C. Crouch chiama «post-democrazia»: uno scenario in cui, dietro lo stanco rituale democratico, si nasconde lo svuotamento della democrazia, presto riempito dal controllo delle élite. 
È lo scenario nel quale trova terreno fertile il «centro» inteso come luogo fisico della politica. 
Dentro queste coordinate sembra navigare oggi il Partito democratico dopo la scissione. 
Era il 14 ottobre 2007 quando Walter Veltroni è stato eletto segretario del partito che avrebbe dovuto rappresentare la punta avanzata della cultura politica riformista del Paese: laica, cattolica, di sinistra. Il mondo di riferimento della sinistra, consolidatosi nel corso del ‘900, si era intanto  atomizzato: vagando in uno spazio «liquido», aveva fatto esaurire la funzione storica del partito di massa. 
Un tarlo, che in verità non ha risparmiato larga parte dei partiti socialisti e socialdemocratici, si è però  annidato nel progetto riformista: ne è derivata una sorta di afasia culturale della sinistra, tradottasi nell’incapacità di elaborare e proporre una lettura autonoma, chiara e forte dei mutamenti in atto nella società e di offrire, quindi, un’altrettanto autonoma, chiara e forte proposta politica, nella quale le forze sociali ed economiche potessero riconoscersi in modo netto e non confuso, e aggregarsi solidamente.   
Insomma, è avvenuta, per parlar chiaro, una sorta di resa al pensiero neoliberista dominante, cullata nell’illusione di “correggere” il galoppante capitalismo finanziario, mentre questo stava intanto voracemente erodendo spazio al mondo del lavoro e incrinando pericolosamente il “compromesso” tra capitalismo industriale e democrazia che ha segnato buona parte del secolo scorso.   
Si inseguiva la «terza via», che ancora pare riteorizzata da Macron nel suo recentissimo Rivoluzione  (La nave di Teseo, 2017), nel quale si affaccia una prospettiva politica che vada «oltre la destra e la sinistra».  
È così che la sinistra ha offerto una lettura della società “debole” e una “debole” proposta politica, che ha prodotto dispersione nel suo mondo di riferimento, imponendo per di più una navigazione a vista alla sua stessa classe dirigente.  
Se manca l’antagonismo nella politica, costruito sulla base di idee chiare e forti, il normale conflitto ci scappa di mano e ci esplode nel populismo, nell’estrema destra o nell’estrema sinistra, perché la gente non vede alternative. Oppure svicola nell’astensione, nella disaffezione. 
Chiamiamola come vogliamo, la dicotomia destra/sinistra, ma, per favore, non diciamo che la politica è la notte hegeliana.
Eppure, le sirene del centro inteso come luogo fisico della politica tornano a risuonare. 
Il centro non è luogo fisico della politica. È luogo di governo, nel quale l’interesse generale si orienta sulla base di una netta e chiara, visione impressa al momento della chiamata alle urne.

*Ricercatore di Diritto amministrativo
Docente di Diritto urbanistico 
Università Mediterranea di Reggio Calabria

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