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Se Abramo si "appropria" della Galleria Mancuso

CATANZARO Novanta anni portati bene, con tanta verve in corpo che lo rende ancora più combattivo di quando ha lottato contro tutto e tutti per realizzare il suo sogno Mario Mancuso, laurea in giuri…

Pubblicato il: 07/06/2017 – 13:02
Se Abramo si "appropria" della Galleria Mancuso

CATANZARO Novanta anni portati bene, con tanta verve in corpo che lo rende ancora più combattivo di quando ha lottato contro tutto e tutti per realizzare il suo sogno Mario Mancuso, laurea in giurisprudenza, è l’imprenditore catanzarese al quale è stato riconosciuto: “il primo premio nazionale INARK” per la Calabria nella qualità di committente del Centro Mancuso considerata la migliore opera architettura realizzata in Calabria fino al 1961.
Di cosa si duole l’avvocato Mancuso? Lo rivela incontrandoci nel suo studio, al quarto piano di un edificio che guarda verso quello che fu il Grande Albergo Moderno; altra opera di famiglia, oggi in comproprietà con sede della B.N.L.. Mancuso, figura di rilievo dell’imprenditoria catanzarese è in collera con il sindaco della sua città; furente per lo stato di abbandono e di degrado in cui versa una seconda volta dopo i lavori di restyling quella che considera una “sua creatura”, la galleria Mancuso. Tira fuori da un cassetto un dossier nel quale ha documentato tutte le “indecenze” e l’abbandono che ha colto recandosi a visitare la galleria per 2 anni e mezzo ciò che, nonostante tutto, definisce: «La piazza coperta di Catanzaro»; il centro direzionale posto nel cuore della città che avrebbe dovuto essere, com’è stato per alcuni decenni, l’agorà.
Mario Mancuso realizzò quella opera interamente con capitali propri, mosso dal desiderio di costruire qualcosa di grande e la intestò moralmente al padre, Eugenio, un mito nella storia dell’imprenditoria calabrese. Da ciò la volontà sua e della famiglia di donarla, al sindaco Rosario Olivo e alla città perché restasse radicata nella storia di Catanzaro. Ecco perché non sopporta che quella sua “creatura” che si ostina a definire, nonostante le condizioni in cui versa, “il salotto coperto per arricchire il centro storico”, sia stato ridotto, per esclusiva incuria dell’amministrazione ad un luogo senza regole, senza controlli di cui si può disporre come si vuole, campo di calcio, pattinaggio, financo invasione di nidi di colombe, trasformandone gli angoli più discreti in latrine.
Ma anche senza mettere piede all’interno la decadenza del luogo è palpabile guardando le ampie vetrate con lo stemma comunale che l’avrebbero dovuto rendere più accogliente e confortevole, rotte forse da lanci di sassi; e lo stemma del comune con l’aquila reale incastonato nel marmo, che sta per essere completamente cancellato dal tempo.
La famiglia Mancuso cedette quel gioiello di arte moderna all’amministrazione comunale perché la preservasse nel tempo tramandando il nome del capostipite Eugenio Mancuso e l’opera che, negli anni a cavallo tra il 1920 e il 1940, aveva contribuito a realizzare in favore della nuova Catanzaro con impegni personali, senza contributi dello Stato. Nacquero in quegli anni le nuove costruzioni per la borghesia emergente: il rione Milano, quello di via Crispi e il famoso Grande Albergo Moderno progetto della “Bauhaus” di Berlino, il villaggio Mancuso il centro turistico creato nella sconosciuta selvaggia Sila per dare ai catanzaresi l’alternativa al mare, quel centro turistico nel quale si parlò tanto nel Paese e per il quale un ministro dell’epoca Luigi Einaudi, non solo non esitò a modificare una legge dello Stato per dare la possibilità ai suoi eredi di acquistare il terreno demaniale ma volle anche essere tra i primi a visitarlo da Presidente della Repubblica in visita a Catanzaro.
Sono state le due brochure che Abramo sta facendo recapitare in questi giorni di campagna elettorale alle famiglie, l’una dal titolo «le cose che abbiamo fatto assieme» e, l’altra, «quello che faremo assieme nei prossimi 5 anni», ad aver mandato su tutte le furie Mario Mancuso. In particolare una fotografia, evidentemente antica, che ritrae uno scorcio della galleria presentata come motivo di splendore che, invece, è anch’esso ritornata ad essere oggetto di decadimento; ma soprattutto la scomparsa del nome “Galleria Mancuso” a conferma dell’irrazionale comportamento del sindaco Abramo che ne ha acquisito la paternità facendo così credere, ovviamente per ragioni intuibili legati alla campagna elettorale, che tutto ciò che negli anni passati è stato realizzato a Catanzaro lo si deve a lui.
È per questo che Mario Mancuso ha reso nota l’intenzione di dare mandato ai suoi legali perché valutino l’avvio di eventuali azioni giudiziarie. E intende far luce sui motivi che hanno portato alla soppressione del nome “Galleria Mancuso” nelle opere future programmate dal sindaco per cui il gesto si augura che «qualcuno, almeno sotto l’aspetto psicologico, possa spiegare l’irrazionale del sindaco Abramo». In sostanza l’uomo che ha donato alla sua città un’opera di architettura di qualità arricchendo il centro storico, non si adatta all’idea che si possa profanare la storia della galleria e il valore della donazione anche attraverso una colpevole trascuratezza o mancanza di idee del suo sindaco.

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