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Garantismo liberale o funzione repressiva?

REGGIO CALABRIA Garantismo liberale o funzione repressiva? Da quale parte pende la bilancia del diritto nella lotta ai clan? Ci sono mezzi normativi e organizzativi adeguati e attuali? Sono queste …

Pubblicato il: 11/06/2017 – 10:57
Garantismo liberale o funzione repressiva?

REGGIO CALABRIA Garantismo liberale o funzione repressiva? Da quale parte pende la bilancia del diritto nella lotta ai clan? Ci sono mezzi normativi e organizzativi adeguati e attuali? Sono queste le domande alla base del convegno nazionale convocato da Magistratura democratica a Reggio Calabria. Convitato di pietra, il cosiddetto “caso Riina” che, forse anche a prescindere dai reali contenuti della sentenza della Suprema Corte, è diventato spunto dello scontro – mediatico e no –  fra garantisti e giustizialisti.

EQUILIBRIO COMPLICATO Un nodo che ha in parte ispirato anche il dibattito animato da magistrati, avvocati, sociologi e politici, arrivati oggi a Reggio con un compito non semplice: discutere di limiti e orizzonti delle attuali forme di contrasto giudiziario ai clan.  Nel processo di criminalità organizzata, prova a sintetizzare il segretario generale di Magistratura Democratica, Maria Rosa Guglielmi, «importanti sono i valori in gioco, tutti quelli della democrazia, che la criminalità organizzata compromette. Nel processo transita questa forte istanza ed al giudice spetta il compito di garantire l’equilibrio tra i diritti della difesa e i diritti di garanzia». Un equilibrio complicato, aggiunge, anche in caso di condanna definitiva e responsabilità accertate. «Il difficile compito del giudice è quello di mettere in equilibrio le esigenze fondamentali della collettività e i fondamentali diritti della persona, che sono anche quelli del condannato, del detenuto», aggiunge Guglielmi.

TESI A CONFRONTO Istanze che hanno trovato spazio non solo negli interventi di legali come l’avvocato Spigarelli, che ha tuonato persino contro il giudizio di prevenzione che spesso corre parallelo al procedimento penale, ma anche in quelli di alcuni magistrati, che non hanno esitato a mettere in discussione quanto meno le modalità di istituti come il 41bis. Considerazioni non unanimemente condivise, perché se da una parte forte è la tensione alla salvaguardia dell’individuo in quanto tale, che sia detenuto o meno, dall’altra – è emerso  nel corso della lunga giornata di discussione-  imprescindibili sono i diritti della collettività a combattere tramite le proprie istituzioni un fenomeno eversivo della democrazia. 

FENOMENO COMPLESSO «Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata», sottolinea il pm Stefano Musolino, citando George Bernard Shaw e invitando la platea a non pretendere di semplificare un problema complesso – nella forma e nella sostanza – quale oggi sono le mafie. Un fenomeno non solo in continua evoluzione, ma anche invasivo della politica, dell’economia e della stessa magistratura. «Dobbiamo ricordarci che la ‘ndrangheta ha fatto patti con sistemi criminali paralleli alla politica e controlla la politica. I soldi del narcotraffico permettono ai clan di sedersi con tutti i diritti a tavoli economici strategici, ma soprattutto – sottolinea – la ‘ndrangheta è stata invasiva anche degli ambiti della giurisdizione. In questo distretto abbiamo avuto avvocati coinvolti in importanti processi penali, magistrati indagati, magistrati finiti sotto procedimento disciplinare e trasferiti». Ecco perché spiega, non si può affrontare in maniera semplice un fenomeno così complesso.

DUE BINARI O TRE? Un assunto che trova eco nelle parole di Alfredo Sicuro, oggi presidente di sezione della Corte di appello di Messina, ma in passato per lungo tempo a Locri. Ed è lui a far notare che se proprio si vuole affrontare il tema di deroghe a democrazia e diritti, allora tocca pensare a «quei processi agli scafisti, fatti in una lingua che non capiscono, di fatto senza difesa perché assistiti da avvocati d’ufficio che nessuno paga e loro non comprendono e condannati ad ammende che mai potranno pagare». La legislazione d’eccezione che regola i giudizi di mafia – sostiene Sicuro – «è costituzionalmente eccellente perché ci si confronta con un fenomeno criminale eccezionale». Ma fondamentale è anche l’approccio del giudice – spiega – che deve comprendere la complessità del fenomeno tanto al Nord come al Sud.Quello delle mafie ormai è infatti un tema che non rimane appannaggio del Meridione.

STRUMENTI NON ATTUALI Un’evoluzione fotografata dai processi, che fin dagli anni Novanta hanno visto boss e gregari finire a processo anche ben oltre la linea gotica, e di fatto inevitabile. Organismo vivo, dinamico, le mafie hanno imparato a cambiare modi, pelle, metodi assecondando, forse anche prima delle sovrastrutture istituzionali, il cambiamento dei modi di produzione. Un quadro tracciato con precisione dal procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che spiega «i limiti della cultura giuridica e istituzionale stanno nell’incapacità di cogliere i rapidi e profondi mutamenti dei sistemi criminali a seguito del cambiamento macroeconomico e macropolitico del Paese. Le mafie di oggi sono profondamente diversi dalle mafie della Prima Repubblica, per questo gli strumenti messi a punto all’epoca stanno iniziando a mostrare la corda».

 

LA SELEZIONE MAFIOSA DELLA SPECIE La perdita della sovranità monetaria, i rigidi limiti alla spesa pubblica imposti da Bruxelles, la contrazione del mercato interno italiano hanno profondamente modificato le sovrastrutture politiche e istituzionali in Italia, restringendo sempre più il numero dei centri decisionali e di spesa. Un processo con un riflesso diretto nell’evoluzione della struttura delle mafie. Per Scarpinato «gli stessi fattori che hanno scompaginato la società civile legale, hanno profondamente cambiato quella illegale e il sistema mafioso. C’è una sorta di selezione della specie nel mondo della mafia che ha relegato le organizzazioni militari tradizionali ai margini, mentre emergono delle nuove mafie, nuovi sistemi criminali, che cavalcando la cultura del libero mercato si sono trasformate in “agenzie di servizi” in grado di tessere rapporti collusivi con altre strutture di potere all’insegna di reciproci vantaggi e convenienze». In sintesi, le mafie si sono trasformate in interlocutori, in grado di offrire beni e servizi ad una pletora di soggetti, senza neanche bisogno dell’intimidazione. E il radicamento delle mafie al Nord ne è lo specchio fedele. «Il diritto – conclude il procuratore – è sovrastruttura. E dobbiamo capire la struttura se non vogliamo limitarci a fare interventi postdatati».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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