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«Così aiutiamo a crescere i figli della 'ndrangheta»

REGGIO CALABRIA «Da 4 anni abbiamo iniziato un percorso giurisprudenziale nuovo. Stiamo adottando provvedimenti di decadenza o di limitazione della responsabilità genitoriale e contestuale allontan…

Pubblicato il: 12/06/2017 – 13:18
«Così aiutiamo a crescere i figli della 'ndrangheta»

REGGIO CALABRIA «Da 4 anni abbiamo iniziato un percorso giurisprudenziale nuovo. Stiamo adottando provvedimenti di decadenza o di limitazione della responsabilità genitoriale e contestuale allontanamento dei ragazzi dalla famiglia». A dirlo è stato Roberto Di Bella, presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria in un’intervista a Radio Vaticana, parlando del sostegno ai figli di famiglie mafiose. «Stiamo provando – ha aggiunto – a censurare il modello educativo mafioso nei casi in cui questo mette a repentaglio l’incolumità psico-fisica dei minori, nello stesso modo con cui si interviene a tutela di minori che hanno genitori maltrattanti, alcolisti o tossicodipendenti. Noi interveniamo caso per caso; non facciamo operazioni di “pulizia etnica”, è bene chiarirlo. Non interveniamo in via preventiva solo perché la famiglia è mafiosa, ma quando il metodo educativo mafioso o il contesto mafioso determinano un concreto pregiudizio all’integrità emotiva, psicofisica del minore. Ci devono essere situazioni di concreto pregiudizio o comunque sintomatiche di un indottrinamento mafioso. Allora interveniamo allontanandoli dalle famiglie e collocandoli altrove, anche fuori Calabria, con un duplice obiettivo. Il primo ovviamente è quello di assicurare adeguate tutele per una regolare crescita psicofisica. Nel contempo vogliamo fornire loro l’opportunità di sperimentare realtà sociali, culturali, psicologiche, e anche affettive, diverse da quelle del contesto di provenienza, nella speranza di sottrarli a un destino ineluttabile. Vorremmo operare le infiltrazioni culturali necessarie per rendere questi giovani liberi di scegliere. Cerchiamo di fargli intravedere che esiste un mondo diverso, dove la violenza o l’omicidio non sono gli strumenti ordinari di risoluzione delle controversie; un mondo dove vi è parità di diritti tra uomo e donna, e dove il carcere non è una medaglia da appuntarsi sul petto». In merito alle mamme di ‘ndrangheta, Di Bella ha sostenuto che «quasi il 90% delle madri dei ragazzi di cui ci stiamo occupando si trova in una condizione di profonda sofferenza per lutti, carcerazioni loro e dei figli. Superata una prima fase di contrapposizione comprensibile contro i provvedimenti, non si oppongono più. Negli ultimi anni si sono registrate inoltre evoluzioni imprevedibili: diverse madri hanno iniziato dei percorsi di collaborazione con la giustizia proprio nei locali del Tribunale per i Minorenni; altre si sono presentate per chiedere di allontanare i figli, o a volte per chiedere aiuto per loro stesse».

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