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Turismo: sempre la stessa solfa

«Maestro cosa suoniamo?». Così dicevano gli orchestrali delle bande di paese che un tempo affollavano le piazze di piccoli e medi centri calabresi per allietare – allora sì, a spese dei poveri citt…

Pubblicato il: 12/06/2017 – 8:41

«Maestro cosa suoniamo?». Così dicevano gli orchestrali delle bande di paese che un tempo affollavano le piazze di piccoli e medi centri calabresi per allietare – allora sì, a spese dei poveri cittadini – le serate afose d’estate. E la risposta del maestro era: «Sempi a stissa»: Cioè sempre la stessa solfa. Non è che avessero chissà quale repertorio e quali strumenti. E la gente se ne faceva una ragione, anche perché, comunque, usciva di casa e si divertiva.
Per parlare di turismo in Calabria, cosa diciamo in risposta a chi si chiede «quest’anno come andrà?.» Sempre allo stesso modo, nel migliore dei casi. Nel peggiore andrà come il granchio, si faranno passi da gigante, ma all’indietro. È grasso che cola, se si mantengono arrivi e presenze egli scorsi anni. Non vogliamo –ci mancherebbe – essere Cassandre. Vorremmo, come tutti, boom di arrivi.
Sia per motivi economici che sociali. Economici, perché così i nostri albergatori o titolari di lidi e pizzerie, non sarebbero costretti a cantare la diana,cioè a stare sull’uscio dell’esercizio turistico-commerciale in attesa di un “passeggere”, ma sarebbero impegnati a cucinare e servire ai tavoli, così incrementando la nostra disperata economia.
Sociale, perché oltre alla festa di colori che provoca il movimento di ragazzi e ragazze, ci sarebbe un interscambio culturale con i turisti del Nord – magari dell’Europa – che porterebbe alla crescita culturale delle nostre terre. Noi daremmo la nostra di cultura, della quale non siamo affatto scarsi, noi riceveremmo le loro indicazioni ed i loro modelli comportamentali. Di questi ne abbiamo bisogno. Senza dubbio. Rumori molesti, schiamazzi, spiagge considerate depositi di rifiuti, parcheggi “alla me ne frego” . Insomma avremmo tutti da guadagnare. Secondo le indicazioni di giugno, non siamo,però, a livelli alti.
Anzi. Giorni fa, con alcuni amici, del mio luogo dell’anima, sono stato a cenare fuori. Ottimo tutto. Il vino non c’era. «Dottore, se qua non viene nessuno, non riesco ad avere una cantina attrezzata». Mi aiuta lei? E cosa posso fare, mi sono detto. Al massimo, quel che sto facendo adesso. Anche per sollecitare una sana e finalmente politica dell’efficienza. Un compito, questo, che spetta a tutti. Pubblici e privati operatori. I pubblici hanno bilanci da fame, tanto da non riuscire ad abbellire – più di tanto – lungomari, spiagge, piazze e ad allestire spettacolini di attrazione. I privati,che al massimo, danno una decina di euro per la festa del Santo protettore, per il resto, considerano, per esempio, un lungomare, come il luogo dove correre e strombazzare clacson e radio a tutto volume (una passeggiata a piedi, no. Vero?), comprare una birretta e buttare la bottiglia sulla spiaggia o in mezzo alla strada, addentare un cocomero e depositare i resti non negli appositi cestini, ma ai propri piedi o alle spalle, per non dire dei cani che fanno la pipì ed il resto in mezzo alla strada,senza che si abbia cura di avere le attrezzature per pulire, o dei pannolini –sporchi,  nascosti sotto la sabbia. «Aiutati che il ciel ti aiuta», diceva il saggio. Se non ti aiuti da solo, chi può provvedere? Perché, a Capri (grazie, è il non plus ultra o quasi delle località di villeggiatura e non solo del Sud) per il ponte dei primi di giugno c’è stato l’assalto e a Tropea non in maniera adeguata e meritevole? A Capri si comincia a parlare di numero chiuso – addirittura – tanti sono stati i turisti arrivati, nonostante le difficoltà per raggiungere la perla napoletana. Ben 25mila per due giorni! Sì, proprio così! L’invidia è d’obbligo, ma se provi solo questo sentimento(?) le cose non cambiano.  Si deve invidiare, ma, nel contempo, emulare. «L’emulazione è l’alimento del genio,l’invidia il veleno del cuore» diceva,Voltaire. A Capri, alberghi, esauriti, bed and breakfast introvabili, ristoranti e bar pieni. In quei giorni, in un ristorante del Tirreno reggino, a fronte di cento posti disponibili, eravamo in otto. Proprio così. Ed eravamo a tremetritre dal mare! Gli amministratori capresi erano preoccupati perché l’isola dei Faraglioni rischiava di scoppiare, i nostri amministratori erano costretti a prenderne atto. Cosa possiamo fare, avrebbero detto, al massimo. Molto più di quanto si possa immaginare, e loro stessi, lo sanno, perché sono persone di adeguata e buona intelligenza. E se una cittadina del Tirreno o dello Jonio calabrese si attrezzasse per fare degli accordi con i posti che scoppiano di turisti? Si potrebbe certamente fare. Però? Però, la cittadina calabrese sul mare deve essere idoneamente attrezzata, anche impedendo a quanti “sporcano”  (per non dire altro) di mettere piede nel centro marino, cominciando con le dovute contravvenzioni, i giusti provvedimenti previsti dalla legge. La carota ed il bastone, occorre riscoprirli. E non è una limitazione alla libertà, ma solo buon senso che tutti approverebbero. Almeno, c’è da sperarlo. Parliamo di Venezia? Non esageriamo. Venezia è la città che il mondo intero invidia all’Italia. Non possiamo far paragoni. Si potrebbe, però, prendere esempio. Qualche vigile in più,almeno per luglio ed agosto, un numero maggiore di netturbini, cestini porta rifiuti, fiori, piante,luci. Almeno questo. Il mare? È tutto un altro discorso,anche se quest’anno, forse, la Calabria non sarà costretta a chiedere scusa per l’inquinamento. Chi ben comincia – ed è sempre molto,ma molto tardi – è a metà dell’opera! L’intenzione c’è? Si spera, anche se non vorremmo ricordare Benjamin Franklin che scriveva: «Chi vive sperando, muore digiuno»: Preferiremmo pensare che la speranza è una virtù, una determinazione eroica dell’anima, è la disperazione vinta. Specie se si tratta dei luoghi dell’anima, propria o altrui.

 

*giornalista

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