Nella (solita) gazzara del giorno dopo è un rincorrersi di commenti sul chi ha vinto (e perché) e su come ha vinto (e perché). Gli analisti del giorno dopo che ormai hanno polpacci ipertrofici a furia di saltare da un carro all’altro, visto che i vincitori si alternano a giorni pari, ci riempiono di ovvietà: naufragio del centrosinistra, vittoria del centrodestra con riconferma di una nuova linea politica che viaggia sulle gambe di Sergio Abramo, il quale ha “appena” quattro legislature da sindaco.
Sul come si è vinto, o si è perso, già gli analisti diventano più cauti: guai a nominare il nome di Mario Oliverio invano. Guai a ricordare che le ultime amministrative in un capoluogo calabrese, il centrosinistra le ha vinte con alla Regione il centrodestra e che da quando è arrivato Oliverio si è perso ovunque, da Cosenza a Catanzaro passando per Vibo e Crotone.
Scandalizzeremo gli analisti e il loro camaleontismo ma il risultato politico del voto nel capoluogo regionale vede una stabile riconferma: il primo partito in Calabria resta quello del “non voto”. Nel brindare, legittimamente, alla sua vittoria, è bene che Sergio Abramo dimostri sensibilità politica e rifletta su questo: è il sindaco di 21mila catanzaresi. Pochini in epoca di suffragio universale.
I numeri sono aridi ma implacabili. Ancor più della statistica. La statistica può imbrogliare (tu mangi due polli, io resto a digiuno ma statisticamente abbiamo mangiato un pollo a testa). I numeri, invece, sono implacabili. E i numeri ci dicono che su oltre 75mila cittadini di Catanzaro con diritto di voto, alle urne ci sono andati poco più di 35mila. Di questi poco più di 30mila hanno espresso voti validi e dei voti validi 21mila li ha contati Sergio Abramo. Appunto. Insomma siamo al paradosso della democrazia: il candidato a sindaco di Trapani prende più voti di Abramo, anche in percentuale, ma non verrà eletto perché, mancando un competitore, il voto è considerato nullo. La legge impone, infatti, che il voto per essere valido deve vedere l’affluenza ai seggi di almeno la metà più uno degli aventi diritto.
Paradosso per paradosso: se Enzo Ciconte avesse ritirato la candidatura o, come accaduto appunto a Trapani, ne fosse stato inibito, oggi a Catanzaro ci sarebbe il commissario prefettizio.
Ecco com’è ridotta la democrazia in Calabria. C’è ancora voglia di brindare?
direttore@corrierecal.it
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