La Chiesa è impegnata ad arrivare alla scomunica di mafiosi e corrotti. Una vera e propria svolta. Tangentisti e criminali sono sullo stesso piano. Adesso c’è da attribuire veste giuridica alle parole di Francesco, conciliare, cioè i messaggi del Papa con le norme del diritto canonico. Da qui l’insediamento di un gruppo di lavoro, ad altissimo livello che possa elaborare un testo condiviso sulla «scomunica per corruzione e associazione mafiosa!».
Mai, o quasi, la Chiesa era arrivata a tanto. Molti segnali, in positivo, erano venuti dalla conferenza episcopale calabrese. Spesso non sufficienti, ma di buon auspicio. Tanti Vescovi, a parlarne, con cognizione di causa. Da qui la necessità,adesso, di studiare e di approfondire i termini della questione affatto secondaria. Per il diritto canonico, infatti,è un provvedimento non solo simbolico, ma di grande significato. La scomunica è la pena più grave nella Chiesa che ha come effetto l’allontanamento dalla comunità dei fedeli e la consequenziale esclusione dai Sacramenti. Fino ad ora, la scomunica era toccata a chi si era posto lontano o al di fuori dei principi della Fede, come gli ultraconservatori contrari al Concilio Vaticano II°, ai Lefebvriani, a chi violava i segreti del Conclave, profanava le ostie o attentava alla vita del Papa. Adesso, a lavori ultimati dal gruppo di lavoro, saranno scomunicati mafiosi e corrotti. Papa Francesco, in una omelia a Santa Marta, la sua residenza romana, si era detto del parere che «chi corrompe o si lascia corrompere commette un peccato molto grave. Il peccatore, se si pente torna indietro – aveva aggiunto – il corrotto difficilmente». Lo stesso ragionamento, evidentemente vale per i mafiosi. Non manca la volontà di Francesco (ne aveva parlato sulla spianata di Cassano allo Ionio) di non lasciare più alibi agli uomini di Chiesa che si lasciano sedurre dalle tentazioni del danaro. Incontrando i suoi collaboratori, Papa Francesco, dopo aver sillabato la necessità di scomunicare i mafiosi, ha ribadito che cha la condizione dei corrotti sia assai peggiore di quella dei peccatori. Questi ultimi potrebbero chiedere perdono, i corrotti dimenticano di chiederlo. Ecco, perché, nell’introduzione al libro “Corrosione” del cardinale Peter Turkson aveva scritto che la «corruzione nasce da un cuore corrotto ed è la peggiore piaga sociale. Per questo dobbiamo lavorare tutti insieme, cristiani, non cristiani, persone di tutte le fedi e non credenti, per combattere questo cancro che logora le nostre vite». Più chiaro di così non avrebbe potuto essere il Papa venuto da lontano. È vero che chi non è interessato alle parole del Papa o della Chiesa le considera inutili o, al meglio, parole che lasciano il tempo che trovano. Non ne sarei del tutto convinto, l’obiettivo è, intanto, parlarne, sensibilizzare l’opinione pubblica, arrivare ad atti concreti, creare una mentalità. Se poi si dice “Tizio o Caio sono scomunicati” un effetto di sicura valenza lo ha! All’indomani delle prese di posizione, ferme e concrete del Papa, non sono mancate le reazioni, in positivo. In Calabria, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, a domanda di uno studente dell’Università della Calabria, ha riconosciuto come negli ultimi Pontificati, specie in questo di Bergoglio, si stia assistendo ad una rivoluzione copernicana. «Le cose vanno molto, molto meglio, rispetto al passato. C’è da augurarsi che giovani traggano insegnamento dalle parole del Santo Padre, a tutti i livelli. E lo traggano coloro i quali sono chiamati a contribuire al riscatto della Calabria». E con lui, a ruota, il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, per il quale quanto sostenuto da Francesco è «un fatto rivoluzionario» che ha un significato religioso e giuridico, ma soprattutto politico. E questo perché non potrà non porre un problema di coscienza a chi vuole professarsi – e probabilmente lo è – cattolico. I cattolici, con ruoli di primaria rilevanza nel mondo dell’economia e della finanza, non potranno più ignorare la linea tracciata del Papa. Arriva a dire, Raffaele Cantone, per la valenza dell’impegno del Santo Padre contro mafiosi e corrotti, che è «un messaggio che ha più forza di una risoluzione dell’Onu!». Anche Federico Cafiero De Raho, procuratore capo della Dda di Reggio Calabria si è detto più che convinto della bontà della iniziativa del Papa. La scomunica, serve, eccome. Dappertutto, ma in Calabria ci si batte il petto più che convinti . Diceva Oscar Wilde: «Posso simpatizzare con qualsiasi cosa, tranne che con la sofferenza». E noi non vogliamo soffrire!
*giornalista
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