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Le strade (e la democrazia) sepolte dalle macerie

Gli elettori non votano più. Anche se il dato è nazionale, mi riferisco alla Calabria. Vera e amara la sintesi, del direttore Paolo Pollichieni nell’Omissis di ieri sull’Anas e il governatore Gerar…

Pubblicato il: 29/06/2017 – 10:10
Le strade (e la democrazia) sepolte dalle macerie

Gli elettori non votano più. Anche se il dato è nazionale, mi riferisco alla Calabria. Vera e amara la sintesi, del direttore Paolo Pollichieni nell’Omissis di ieri sull’Anas e il governatore Gerardo Mario Oliverio. 
L’A3-A2 fa sempre vittime, è un cantiere permanente, tra Caterpillar, catering e catene di comando. La 106 cade a pezzi da sé. Cumuli di terra e cemento, detriti, milioni della comunità, polvere e silenzi. Procure e forze dell’ordine lavorano su fatti immutabili, prove di un governo in perenne aspettativa, di là dal colore. 
Qui non parliamo di bombe, agguati, delitti di ‘ndrangheta. Entriamo in un ambito più drammatico e oscuro in un tempo: l’eterno irrisolto delle infrastrutture in Calabria, di carta e di creta. Davanti alla realtà e al bimbo di 8 anni morto nell’ennesimo incidente d’auto, la retorica, le passerelle e la costosa propaganda di palazzo hanno corpo disumano, nocivo quanto il colpo criminale. 
L’ultimo crollo stradale a un passo dalla Cittadella, inaugurata dall’ignaro presidente Mattarella, dovrebbe indurre Oliverio e subalterni a guardarsi dentro, a interrogarsi, a rinunciare all’indifferenza, all’inerzia, alla negazione d’ufficio. 
Dal Pollino allo Stretto, chi viaggia in macchina porti un’immaginetta di san Francesco di Paola, san Pio, la Madonna, il Crocefisso. I “santi laici”, che di miracoli ne compiono ogni giorno – nomine illegittime, grazie ad amici e compagni, diritto creativo, finzioni palesi e spinte a familiari – non ascoltano, non vedono, non rappresentano che la loro povertà umana, logorati dal potere e vinti dalla brama di tenerlo. 
Se la gente diserta le urne, non è un problema dei partiti. Lì se ne compiacciono: meno sono, più stiamo. Il punto è proprio questo, e va realizzato senza cedere alla depressione o, peggio, alla psicologia del rifiuto. Come si può, dico intanto a Franco Laratta, celebrare la bellezza del paesaggio e della natura calabrese, se per raggiungerla da ogni dove si vaga come l’Agrimensore di Kafka, costretti al gioco della sorte? 
Vogliamo girare lo sguardo, soprassedere, cambiare discorso? Vogliamo ignorare il sangue, il dolore altrui, la marginalità di una regione scollegata dall’Italia e all’interno, in nome di un progresso irreale, di uno sviluppo immaginario? Vogliamo ancora dissertare sulla democrazia, se gli effetti di ogni rito elettorale sono due, in Calabria, l’aggravamento dei problemi strutturali e il crescente distacco – non più mero disprezzo – dei cittadini dalla politica quale fabbrica del futuro? Vogliamo o no ammettere che nell’odierna questione meridionale c’è, più complessa e in ombra, la questione calabrese, che si può riassumere in tre parole correlate, sistema, anormalità, spopolamento? 
Devo riconoscere un mio limite, cioè la convinzione che le forze politiche vogliano prima o poi interloquire. Stiamo arrivando a un punto di non ritorno. Forse tra cinque anni la percentuale degli elettori scenderà sotto il 30%, il che mi pare l’obiettivo dei piani alti. Allora la democrazia sarà finita, sepolta dalle macerie del patrimonio pubblico.

*giornalista

 

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