Esistono ovunque “trame” vere e finte “trame”. Anche a Lamezia Terme, città simbolo delle trame vere e capitale delle trame farlocche. Le trame vere, a Lamezia, si snodano attorno alla lotta per il condizionamento della Sacal, il controllo economico del territorio, l’utilizzo del voto di scambio per favorire questo o quel politico. Le trame finte, invece, volano alto rispetto a queste “miserie” si occupano dei massimi sistemi: dalle triadi cinesi al fronte del porto in quel di Panama.
Le inchieste della Procura distrettuale di Catanzaro disvelano, a cadenza settimanale, il potere delle cosche lametine, il tentativo di condizionare ogni attività economica, la pratica dell’estorsione a tappeto (anche poche centinaia di euro, importante è riconoscere che pagare si deve!), l’inquietante contiguità tra alcuni politici e gli uomini dei clan (al punto da determinare il Prefetto a spedire al Comune una Commissione d’accesso). Di tutto questo, però nelle piazze organizzate dall’antimafia con la partita Iva non troverete traccia: non una parola, non un incontro, non un dibattito. Neanche un accenno. Come se a Torino si svolgesse un festival del calcio senza mai nominare la Juventus. A Lamezia Terme l’antiracket ha del surreale. Si incastra, e incastra le sue passerelle istituzionali, tra una retata e l’altra ignorandole tutte.
Poi, raccolte le tende, pagati i gettoni di presenza e rimessi negli scaffali i libri che raccontano delle triadi cinesi e della Colombia, Lamezia torna alla sua “normalità”: nuovi arresti e, soprattutto, nuove prove sulla totale sottomissione del potere economico al volere delle cosche.
Rientrato a casa il pattuglione di esperti che non sanno di cosa parlano e neanche dove stanno parlando (il presidente del Senato Piero Grasso ne è ormai il più fulgido esempio), i cronisti locali si riprendono ruolo, compiti e intimidazioni. Vanno in conferenza stampa, ascoltano Gratteri che spiega l’ultima retata lametina e annotano le sue parole: «Sono qui da un anno e in questo arco di tempo sono state arrestate a Lamezia Terme 137 persone appartenenti alle cosche Cerra-Torcasio-Gualtieri e Giampà. Io penso che il circondario di Lamezia Terme a questo punto debba farsi un esame di coscienza – ha detto il procuratore –, ritengo che non ci siano più alibi per commercianti, imprenditori, per i cittadini. È necessario iniziare ad essere coerenti. Noi stiamo recidendo anche i germogli di queste famiglie di ‘ndrangheta. È ora che i cittadini facciano la loro parte perché noi la nostra la stiamo facendo». Con chi ce l’ha? La sua schiettezza è proverbiale, per cui lo dice subito: «Io non so cosa dobbiamo fare di più su Lamezia Terme per non meritare la credibilità di un solo commerciante. La base di questi arresti riguarda l’associazione di stampo mafioso e poi il reato di estorsione, quel reato tipico che suggella, certifica, il vincolo mafioso e la forza di intimidazione. Un reato che a Lamezia Terme è sistematico. Io ritengo che oggi non ci siano più alibi per i commercianti, per gli imprenditori, per i cittadini comuni».
Ma non è finita. Sentite la stoccata finale, dedicata «a tutti quelli che a parole dicono di essere dalla parte della legalità»: «Cos’è l’antimafia? – si chiede il procuratore – convegni, dibattiti e presentazione di libri? O, piuttosto, cominciare ad essere coerenti, consequenziali rispetto a questi comportamenti?».
“Tramatori” a scartamento ridotto provate a rispondere.
direttore@corrierecal.it
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