La fusione dei Comuni sta suscitando estremo interesse nell’opinione pubblica calabrese e, di conseguenza, è al centro di numerosi interventi sulla carta stampata e sui quotidiani online.
Tuttavia, nelle more del dibattito, il governo, nella seduta del Consiglio dei ministri del 28 giugno 2017, ha deliberato di «non impugnare», innanzi alla Corte Costituzionale, la legge regionale della Calabria n. 11/2017, istitutiva del Comune di Casali del Manco, non rilevandone, in sostanza, alcun profilo di incostituzionalità.
Si tratta di un’autorevole “risposta” ai tanti che, negli ultimi tempi, avevano gridato all’incostituzionalità della legge e, addirittura, dell’intera procedura sfociata, poi, nell’istituzione del nuovo Comune.
Il presente intervento mira, comunque, a offrire, ai lettori ed ai cittadini, uno spunto di riflessione in più su una vicenda che suscita molta attenzione – com’è giusto che sia in ragione dell’importanza della questione – ma che, nel contempo, rischia di confondere un po’ le idee.
E, invero, al netto delle argomentazioni strettamente giuridiche, pare che sulla vicenda “Casali del Manco” si stia facendo un’illogica commistione di valutazioni politiche e giuridiche.
Ciò perché, se da un lato l’impianto normativo, unitariamente inteso, può e deve essere oggetto di confutazione da parte dei cittadini e degli addetti ai lavori – le leggi sono sempre perfettibili – dall’altro lato, l’applicazione delle norme vigenti è un dovere per le istituzioni che non può essere piegato, irrazionalmente, alle contingenti, ancorché, legittime espressioni di dissenso verso le stesse.
Si tratta, tal ultimo, di un atteggiamento che, talvolta, viene attribuito alla politica e, giustamente, criticato dall’opinione pubblica ma che non può, a nostro avviso, essere utilizzato, a convenienza, o, peggio, essere legittimato in base a chi se ne avvale di volta in volta.
Il dato politico della vicenda, che rappresenta il fulcro della questione, è la mancata valorizzazione del voto contrario espresso – seppur di misura – alla fusione da parte dei cittadini di Spezzano Piccolo; il dato giuridico, invece, è costituito dall’insieme di norme, di diverso rango, applicabili al caso concreto e, dunque – senza annoiare i lettori – dagli artt. 117 e 133 della Costituzione, dall’art. 15 del Testo Unico degli Enti Locali (per come modificato dalla cosiddetta Legge Delrio), dallo Statuto regionale, dalla Legge regionale n. 13 del 1983 (e successive modifiche), culminate nella Legge regionale n. 11 del 5 maggio 2017, istitutiva del Comune di Casali del Manco.
Senza dimenticare che è la stessa Legge Delrio (n. 56 del 2014) a scandire, puntualmente, tempi e modi dell’attività del Commissario, nominato a seguito della fusione e sino all’elezione dei nuovi organi, nella quale egli è coadiuvato dai sindaci dei rispettivi Comuni e dai consiglieri comunali degli stessi che continuano ad esercitare il proprio mandato sino alle nuove consultazioni.
Ebbene, di fronte a questo articolato e frastagliato quadro normativo, è legittima ogni discussione, in sede istituzionale e tra i cittadini, volta allo snellimento delle procedure e, più in generale, al perfezionamento della disciplina, come, peraltro, auspicato proprio dal presidente Oliverio in consiglio regionale al momento dell’approvazione della legge n. 11/2017; tuttavia, nelle more che tale discussione approdi nelle sedi proprie e si trasformi, come ci si augura, in un impianto migliorativo, è dovere delle istituzioni applicare la legge vigente.
Ed è, su questo piano, che sfuggono alla discussione generale i due perni centrali ed insormontabili della questione: il referendum in esame è consultivo (l’art. 133 della Costituzione dice, esattamente, «sentite le popolazioni interessate») e la pubblicazione dei risultati da parte del presidente della giunta regionale è un atto dovuto (art. 44 L.R. n. 13 del 1983), al pari della deliberazione del Consiglio regionale («deve deliberare» art. 45 L.R. n. 13 del 1983).
Una prima, importante, conferma in ordine alla legittimità ed alla legalità di tale percorso si rinviene, appunto, nella decisione del Consiglio dei ministri di non impugnare, innanzi alla Consulta, la legge regionale n. 11/2017.
Appare evidente, dunque, che non può essere chiesto agli organi istituzionali di disattendere un obbligo normativo, tantomeno può pretendersi di ignorarne (o, peggio, interpretarne), in forma illogica, le conseguenze che scaturirebbero dall’inadempimento dello stesso.
Si può, invece, nel frattempo, aprire una discussione generale sulla riforma della materia, scevra, però, da preconcetti e, soprattutto, da convenienti particolarismi dai quali dobbiamo tutti rifuggire nell’interesse della Calabria e dei calabresi.
*assegnista di ricerca in Diritto amministrativo presso l’Università della Calabria
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