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La ricetta per salvare la sanità

La dichiarazioni della ministra Lorenzin rilasciate nel corso della recente intervista Ansa, puntualmente ripresa su questa giornale, mettono a nudo l’inadeguatezza dell’attuale sistema della salut…

Pubblicato il: 03/07/2017 – 8:14
La ricetta per salvare la sanità

La dichiarazioni della ministra Lorenzin rilasciate nel corso della recente intervista Ansa, puntualmente ripresa su questa giornale, mettono a nudo l’inadeguatezza dell’attuale sistema della salute e, quindi, l’improrogabile esigenza di riformarlo.
Sul giudizio espresso, da condividersi nella parte critica, hanno indubbiamente inciso gli errori seriali commessi da tempo, nel mantenere in piedi ciò che bisognava invece rivedere strutturalmente e nell’affidare compiti risolutivi ad una governance, ordinaria e straordinaria, francamente inadeguata a garantire i Lea su tutto il territorio nazionale.

LA GRAVITÀ DELLA SITUAZIONE NAZIONALE Otto regioni in Piano di rientro, a lordo del Piemonte appena uscito grazie anche alla attenta presidenza Chiamparino; altre tre Regioni (Sardegna, Liguria e Veneto) anch’esse sottoposte nel più recente passato alla particolare disciplina, dalla quale le prime due sono uscite a fatica; cinque Regioni di quelle in Piano di rientro in stato di commissariamento governativo; una mobilità passiva che ha registrato complessivamente 1,4 miliardi di euro, principalmente attratti da Lombardia ed Emilia-Romagna; metà popolazione nazionale con una gestione precaria della salute rappresentano, nel loro insieme, un handicap troppo grosso da potere sopportare. Un peso grave per i cittadini a secco di Lea e, nel contempo, gravati da una fiscalità aggiuntiva, costretta a durare all’infinito. Non solo. Con molte Regioni impegnate ad utilizzare le già esigue risorse libere dei loro bilanci per soddisfare soprattutto l’ammortamento dell’oneroso debito pregresso, accumulato per anni e per il quale non ha pagato alcuno in tema di responsabilità.

UNA EMIGRAZIONE SINTOMO DELL’ASSENZA DI ASSISTENZA Una situazione gravissima che coinvolge circa la metà del Paese, sia in relazione alle spesso penose condizioni assistenziali, tali da giustificare una massiva emigrazione interregionale, con record negativo di costo in Calabria per € 128 a cittadino. Una mobilità passiva – alla quale va sommato l’abissale «esproprio» dei risparmi dei cittadini impiegati per accedere ai servizi a pagamento, altrimenti inaccessibili ovvero intempestivi, tali da doverseli assicurare spesso in tempo per salvarsi la vita – che pesa sul sistema rendendolo asimmetrico in termini di offerta e contrario ai principi costituzionali che pretendono una assistenza egualitaria e uniforme. 

IL PEGGIO In relazione ai Lea, cinque le regioni canaglia: Calabria, Molise, Puglia, Sicilia e Campania. Quanto ai conti, la loro gestione assume all’Asp di Reggio Calabria le sembianze di una farsa, atteso che ivi non si riesce a capire quanto sia il debito pregresso (mai rendicontato da alcuno, tranne che dal Commissariato di protezione civile a fine 2008) e quanto siano stati i doppi pagamenti a fronte dei quali occorrerebbe chiedere la ripetizione dell’indebito per chissà quali cifre. Un argomento, questo, sul quale hanno glissato sino ad oggi i bilanci aziendali e i revisori, la Regione con il suo bilancio e i suoi revisori, gli advisor arrivati ad incassare, per fare nulla, cinque milioni di euro in un anno, la Corte dei Conti, i Tavoli di verifica romani e, infine, i commissari ad acta con i loro soggetti attuatori al seguito, destinatari di gettoni pro die da fare invidia alle star televisive che, nonostante ciò, hanno abbandonato il campo. Ad impazzire è rimasto solo l’attuale incolpevole management!

PER ALTRI VERSI: UNA FORMAZIONE AL TOP Ed è proprio qui, in questa regione che si è organizzato lo scorso 23 giugno, presso l’Università della Calabria, un interessante convegno dal titolo “Le nuove sfide nazionali della sanità”, a conclusione e all’esordio, rispettivamente, della 16a e 17a edizione del Master in “Direzione e management della salute”. Una iniziativa partecipata, nell’incomprensibile assenza della Regione Calabria, anche dalla Fiaso nazionale e dalla Regione Basilicata, nelle loro massime espressioni. Quest’ultima resasi peraltro sottoscrittrice di otto borse di studio, di partecipazione all’edizione del Master 2017-2018, destinate ad operatori del Ssr lucano.  
In coda agli interessanti temi svolti dai relatori, è stata di fatto anticipata la critica della Lorenzin all’attuale sistema della salute, caratterizzato da un aziendalismo quantomeno improprio, nonché sostenuta la necessità di «cambiare passo» in relazione agli attuali commissariamenti/piani di rientro, incapaci di equilibrare i bilanci e garantire gli standard minimi di erogazione dei Lea.

LA PROPOSTA Da qui, la proposta, pervenuta dai lavori:

– nell’immediato di: a) accelerare la introduzione dei costi e fabbisogni standard nella sanità, adeguati però sulla base gli indici di deprivazione socio-economica che penalizzano fortemente la nostra regione e non già solo sull’età degli utenti; b) di fare ripartire la perequazione infrastrutturale, irresponsabilmente ferma dal 2011, che ha obbligato il Mezzogiorno ad opporre le proprie tecnologie «ad elastico» a quelle possedute dalle Regioni del nord, attrattive della mobilità pluricentomilionaria;

– nel lungo, di riscrivere la struttura del Servizio sanitario istituendo, in luogo dell’attuale aziendalismo, l’Agenzia nazionale della salute, posta a capo di 21 Agenzie (19 regionali e 2 province autonome), con il compito di esercitare il ruolo di strumento attuativo delle politiche socio-sanitarie regionali, da dovere così finalmente integrare. Il modo migliore per mandare in soffitta un aziendalismo che ha fatto solo danni e che non ha più modo di esistere, atteso che allorquando una «impresa» che non fa profitto (i Lea), accumula perdite miliardarie e, dunque, registra un netto patrimoniale da paura è da dichiararsi fallita e, quindi, da espellere dal mercato.

Del resto, l’agenzificazione del Ssn non esclude (tutt’altro) che potranno essere ad essa preposti coloro i quali hanno dato prova di saperci fare in termini di managerialità.
Un modo per preporre a capo delle istituzioni chi dimostra di meritarlo e non già affidarle, così come accade in Calabria (e non solo), agli autori dei passati pesanti fallimenti, a tutt’oggi in oppressiva circolazione nei management aziendali, dopo aver lasciato, ovunque, segni di incoscienza gestionale. 

(Questo articolo è un’anticipazione rispetto a quanto verrà pubblicato sul Il Sole 24 Ore)

*docente Unical

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