REGGIO CALABRIA Luglio 2017, metà legislatura: il crocevia dell’esperienza di Oliverio e del centrosinistra alla guida della Regione. Per il governatore sono giorni decisivi, forse come non mai. L’indagine a carico dell’assessore regionale Carmen Barbalace (accusata di aver favorito, ai tempi in cui era una dipendente dell’assessorato Agricoltura, un indebito finanziamento con fondi europei a vantaggio di un imprenditore agricolo) ripropone la questione del possibile rimpasto di giunta, atteso da tempo (soprattutto dai consiglieri regionali del Pd) ma mai eseguito. Che farà adesso Oliverio? È chiaro che una decisione si impone, dal momento che – solo due anni fa – il governatore aveva mandato a casa gli assessori Guccione, Ciconte e De Gaetano in seguito alla loro iscrizione nel registro degli indagati nell’ambito dell’indagine “Erga Omnes”, la Rimborsopoli calabrese. Difficile che Oliverio mantenga in giunta Barbalace: come potrebbe giustificare una scelta di questo tipo di fronte a personaggi di peso come Guccione e Ciconte, eletti nel 2014 con migliaia di preferenze e “vittime sacrificali” del Pd in occasione delle disastrose elezioni di Cosenza e Catanzaro? Oliverio potrebbe decidere di andare comunque avanti con Barbalace, con annesse le più che certe reazioni da parte della sua maggioranza; oppure, ed è molto più probabile, potrebbe optare per due diverse soluzioni. La prima: sostituire Barbalace con un altro assessore “tecnico”, mantenendo invariate le altre posizioni; la seconda: avviare un repulisti radicale nell’esecutivo – giustificato anche dal prossimo addio di Francesco Russo, che sta per diventare presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro – e pescare i suoi nuovi assessori tra i consiglieri eletti. In questo modo, il governatore riuscirebbe a fermare il malcontento che serpeggia sempre più incontrollato nel centrosinistra.
L’UFFICIO DI PRESIDENZA La tenuta della maggioranza, infatti, dipende anche dalle prossime nomine nell’Ufficio di presidenza del consiglio regionale, strettamente connesse al successivo rinnovo delle commissioni. Il centrodestra (Fi, Cdl e Misto, con l’aggiunta di Ncd), pur senza aver raggiunto un accordo sulla vicepresidenza (in lizza ci sono Gentile, Tallini e Ferro), ha comunque avviato una discussione interna in modo da arrivare al voto con una posizione univoca. Nel centrosinistra, invece, tutto tace. Il punto fermo dovrebbe essere la riconferma del presidente di Palazzo Campanella, Nicola Irto, per il resto il contesto è quanto mai frastagliato. Lo è, in primis, perché, anche a causa del silenzio di Oliverio, non è ancora chiaro quale sarà il destino dell’attuale vicepresidente “autosospeso” Francesco D’Agostino, di fatto assente dall’Ufficio di presidenza dallo scorso anno per via del suo coinvolgimento (è accusato di essere un prestanome del clan Raso-Gullace) nell’indagine antimafia “Alchemia”. D’Agostino è un esponente del gruppo “Oliverio presidente”: dovrebbe dunque essere il governatore a dare indicazioni su una sua possibile ricandidatura, che dovrebbe essere preceduta, tra l’altro, dalla revoca dell’“autosospensione”, istituto che non esiste ma che pone comunque un problema politico: come rivotare un consigliere che ha deciso di farsi da parte? La riconferma, pressoché sicura, del reggino Giuseppe Neri per la carica di segretario-questore rischia inoltre scatenare la reazione di molti consiglieri del Pd.
NO AL REGGIOCENTRISMO «Con la riproposizione in blocco dell’Ufficio di presidenza uscente – spiega un consigliere dem –, il Pd sarebbe rappresentato solo da esponenti reggini. Ma in Calabria ci sono altre 4 province e altre città che devono avere rappresentanza». Su questa linea di resistenza sembrano esserci politici del calibro di Guccione, Antonio Scalzo, Mimmetto Battaglia e, forse, anche Ciconte. Tutti chiedono a gran voce una discussione approfondita e riunioni urgenti del gruppo pd e di quelli di maggioranza. È questa la dissidenza interna con cui Oliverio dovrà giocoforza scendere a patti. «Altrimenti – mormora qualcuno –, al momento del rinnovo, varrà il principio del “liberi tutti”». Tradotto: i dissidenti potrebbero non rispettare le indicazioni di partito o del gruppo. I frondisti non sono ancora usciti alla scoperto, ma sembrano aver già individuato un obiettivo: il posto di capogruppo del Pd, oggi affidato a Sebi Romeo, anche lui reggino. «Solo così – chiariscono – potrebbe esserci il necessario bilanciamento». A meno che il governatore non decida di procedere con il rimpasto, che libererebbe posti in giunta a tutto vantaggio anche dei consiglieri scontenti.
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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