SOVERATO Quando chiude un presidio di legalità è sopratutto la società che viene a perderci. Se questo accade in un territorio delicato come la Calabria la sconfitta forse fa più rumore che altrove. O almeno dovrebbe essere così. È quello che è successo all’Osservatorio Falcone-Borsellino-Scopelliti di Soverato che dopo 25 anni di attività chiude i battenti. Un quarto di secolo, celebrati con la pubblicazione di un libro, che in poco tempo si è trasformato in un addio. Una resa quella del presidente Carlo Mellea, che in poche parole annuncia la chiusura del presidio sul suo sito. «Non è un grido di aiuto, ma voglio solo dire che io farò altro», l’amaro saluto del presidente.
La storia dell’osservatorio nasce negli anni in cui a Palermo le stragi del ’92 avevano mosso la coscienza di molti e iniziavano a nascere anche i primi movimenti antimafia. Ma in quegli anni stava succedendo anche qualcosa in Calabria. Guerre di mafia e omicidi eccellenti iniziavano a risvegliare la voglia e la determinazione di reagire di molti. E in questo contesto nasce a Soverato l’Osservatorio Falcone-Borsellino-Scopelliti, un luogo da cui diffondere la cultura della legalità ma che fosse prima di tutto un spazio di riflessione collettivo sul rispetto delle regole, della trasparenza e della lotta alla criminalità organizzata. Un patrimonio di idee da mettere a disposizione soprattutto dei ragazzi e delle nuove generazioni, considerati come il baricentro dell’intera attività che è passata di scuola in scuola in Calabria e spesso, quando i mezzi lo hanno permesso, anche fuori. «Non può esistere uno Stato bonificato dalla malapianta delle mafie senza il coinvolgimento di chi è destinato a impradronirsi del futuro». Sono le parole con le quali Mellea introduce il libro pubblicato in occasione dei 25 anni di attività e in cui si ripercorre la storia del presidio attraverso le interviste e le testimonianze di chi, con l’aiuto dell’Osservatorio, è riuscito a portare la propria testimonianza nel territorio di Soverato ma anche in molte scuole della Calabria. Dal magistrato Nino Di Matteo, ad esempio, che venne in Calabria proprio grazie ad uno degli incontri organizzati da Mellea e dal suo presidio, al procuratore aggiunto di Cosenza Marisa Manzini e al procuratore capo di Lamezia, Salvatore Curcio. Così come anche il magistrato Michele Del Gaudio, che spesso è stato ospite nelle scuole calabresi. «C’è tanta bellezza ma addolora l’incuria con la quale non si riesce a sfruttare tutto questo», dice nell’intervista all’interno del libro. Sono presenti anche le testimonianze di numerosi rappresentanti politici. Da Giuseppe Lumia, già presidente della commissione Antimafia, a Doris Lo Moro a Vannino Chiti. Ma anche la chiesa con il racconto di don Alfonso Alfano, che ha speso la propria vita per aiutare i ragazzi per le strade di Napoli, o di don Mimmo Battaglia che non risparmia le sue critiche ad una politica sbagliata che hanno creato povertà e corruzione nella nostra regione. Poi tanti i racconti di giornalisti, giovani studenti, insegnati e gente comune che in questi hanno dato il loro contributo alla diffusione della legalità.
Una storia ricca di capitale umano e di esperienze, che però non sono servite al presidio a continuare la propria attività e la propria azione. La sua richiesta di aiuto Mellea l’aveva lanciata qualche tempo fa. Parlava di «solitudine finanziaria» perché «per diffondere una cultura legalitaria e antimafiosa bisogna affrontare dei costi che non riesco più a sostenere». Il presidente si rivolgeva in particolare alla società civile perché «per nostra scelta, non abbiamo mai richiesto soldi pubblici. E di questo ne andiamo fieri».
Un appello che purtroppo, visto il risultato, è rimasto inascoltato.
Adelia Pantano
redazione@corrierecal.it
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