REGGIO CALABRIA Pasquale Perri è un agronomo che i clan di Platì sembrano tenere in gran conto. Sia per questioni di parentela, che da quelle parti non sono mai banali, che per la sua capacità di districarsi tra pratiche burocratiche e meccanismi legati ai fondi europei. Perri, genero di Pasquale Barbaro dei Nigru e legato a Rosario Barbaro, detto Rosi, ha un passato in politica (è stato consigliere e assessore comunale a Platì nel 2002) e può contare su un’esperienza di cinque anni nel Consorzio di bonifica per l’Alto Jonio reggino, del quale è stato anche vicepresidente. Gli uomini dei clan hanno seguito da vicino la sua elezione al Consorzio. I 594 voti ottenuti ne hanno fatto il secondo più votato tra i candidati. E nel comune di Plati la sua lista ha ottenuto 375 voti contro i 4 dello schieramento concorrente. Un grande successo. Ma non è (solo) per la gloria che i Barbaro mostrano tanto interesse per le sorti di Perri. Il suo nome, infatti, ricorre nelle storie in cui il nome del casato mafioso si incrocia con alcuni finanziamenti dell’Unione europea. Fondi paracadutati in Calabria da Bruxelles che, a volte, finiscono per ingrassare le cosche anziché aiutare lo sviluppo del territorio.
L’APPALTO A VARAPODIO C’è, per esempio, un appalto che ricade nella giurisdizione amministrativa del comune di Varapodio e che trae la propria linfa economica dai finanziamenti comunitari. La voce dell’agronomo vicino ai Barbaro – che è nella lista dei 291 indagati dell’operazione “Mandamento jonico” – compare per la prima volta nei radar degli investigatori il 5 ottobre 2010. I carabinieri hanno appena tentato di documentare un incontro avvenuto nel municipio del piccolo centro adagiato ai piedi dell’Aspromonte. Nella stanza dell’allora vicesindaco – attualmente primo cittadino – Orlando Fazzolari ci sono Rosario e Pasquale Barbaro. I due sono lì per parlare dei lavori di «elettrificazione rurale della montagna “Alati”». Per loro è «quel fatto delle luci»: vogliono metterci le mani – pur non essendo titolari di alcuna azienda – e chiedono udienza al politico. Si passa rapidamente da un «carissimo, come state?» del vicesindaco al faccia a faccia riservato ma “spiato” dai carabinieri. Le notizie non sono esaltanti: i soldi per «quel fatto delle luci» sarebbero stati tagliati. I Barbaro non ne sono convinti: hanno avuto notizie diverse dal “loro” consulente di fiducia. Lo mettono, così, in contatto con il vicesindaco. Che spiega: «Noi nel progetto, l’elettrificazione rurale l’avevamo messa […] non è stata approvata […] hanno tagliato proprio quel tipo di intervento». Perri lo corregge, «spiegando che la Regione Calabria non aveva tagliato i progetti bensì aveva ridimensionato i finanziamenti per le varie misure, tra cui la 125 nella quale rientrava anche l’elettrificazione (“su quella misura loro hanno concesso mi sembra 130.000 euro […] non è che è bocciato, per una questione di risorse hanno tagliato e danno una parte ora e una parte va nella graduatoria successiva”), precisando che comunque era nelle sue facoltà (di Fazzolari) ridimensionare il progetto ed eseguirlo più piccolo, venendo incontro alle esigenze dei due Barbaro». Il vicesindaco – che non è indagato – non può «accettare il consiglio»: quei soldi servono «per terminare lavori già iniziati per sistemare la viabilità rurale», ma lascia comunque aperta una porta. Per gli investigatori è «la conferma che i due Barbaro avevano incontrato l’amministratore pubblico per confermare il loro inserimento in un futuro appalto, formalmente già pianificato con la delibera della Giunta Municipale e in attesa di finanziamento. D’altronde era lo stesso amministratore locale che, nella telefonata del 15 settembre 2010, dichiarava la sua volontà a fare l’appalto (“se ci finanziano le opere e cerchiamo di farle […] noi la volontà ce l’abbiamo e ci teniamo pure a farle bene le cose”), confermata anche in quest’ultima telefonata, lavori i cui benefici economici, come si interpretava dalle frasi del Fazzolari, dovevano essere equamente divisi tra le famiglie dei due Barbaro (“mezzo a uno e mezzo all’altro”)».
PORTE APERTE IN REGIONE Per Perri, dicevamo, è l’esordio nei brogliacci di “Mandamento jonico”. L’elettrificazione, però, non è l’unico affare di cui si interessa. Per conto del clan, il consulente cura anche alcune pratiche di erogazione di contributi comunitari stanziati con il Psr (Piano di sviluppo rurale). Per farlo, l’uomo entra direttamente in contatto con una funzionaria della Regione Calabria che si occupa delle erogazioni in agricoltura. È a lei che chiede ragguagli sullo stato di alcune pratiche inerenti finanziamenti comunitari. L’elenco dei cognomi porta direttamente gli investigatori ai vertici dei clan della Jonica. «Molti di questi – si legge nel decreto di fermo firmato dai magistrati della Dda di Reggio Calabria – avevano un legame diretto con soggetti espressione di gruppi familiari arcinoti come i Barbaro Castani, Rosi, Nigri, i Perre, Marvelli e Nirta, soggetti già emersi nel corso delle indagini». Nell’elenco c’è un nipote di Rosario Barbaro, condannato a 15 anni di reclusione per associazione mafiosa e indicato da tre pentiti «come elemento di vertice della locale di Platì». C’è la nipote di un membro della ‘ndrina sanlucota dei Gambazza. L’elenco è lungo quanto i sospetti degli inquirenti. Che si rivolgono al Nucleo antifrodi dei carabinieri per ricostruire nel dettaglio le pratiche. Saltano fuori così attestazioni false e requisiti farlocchi. Ai braccianti sarebbero state corrisposte indennità di malattia e disoccupazione anche se non avevano lavorato un solo giorno. Alcuni dei terreni indicati come agricoli per giustificare la richiesta di contributi, poi, non ospitano colture ma fabbricati. Un campionario di inesattezze confezionato dal perito per il quale il clan di Platì si preoccupava molto nel giorno delle elezioni al Consorzio di bonifica. Più per il business che per la gloria.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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