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«Facciamo le fusioni, ma a regola d'arte»

Mi dispiace essere stato impossibilitato a partecipare all’iniziativa svoltasi ieri l’altro a Rende, presente il vice presidente Antonio Viscomi, sul tema della fusione del Comune di Cosenza con qu…

Pubblicato il: 12/07/2017 – 7:10
«Facciamo le fusioni, ma a regola d'arte»

Mi dispiace essere stato impossibilitato a partecipare all’iniziativa svoltasi ieri l’altro a Rende, presente il vice presidente Antonio Viscomi, sul tema della fusione del Comune di Cosenza con quello di Rende, nei confronti della quale mi trovo da sempre d’accordo, purché vengano utilizzate metodologie di approccio gradato e predisposti i migliori strumenti istruttori.
Sarebbe stata una buona occasione per ivi partecipare i miei convincimenti favorevoli in materia di aggregazione degli enti locali che, in verità, rappresento su qualche mio libro e sulla editoria specializzata sin dal 2004, all’indomani della revisione del Titolo V, Parte II, della Costituzione del 2001.
 Ebbene sì, checché ne pensi qualcuno, sono da sempre un sostenitore indefesso delle fusioni rispetto agli strumenti aggregativi alternativi (convenzioni ma soprattutto unioni). Ciò in quanto le prime (fusioni) tendono a diminuire il numero degli enti locali mentre gli altri due incrementano, rispettivamente, gli step decisori (convenzioni) e i siti istituzionali locali (unioni). A titolo di esempio: tre comuni fusi, per unione, si auto estinguono e generano un unico ente locale; un comune che, invece, ne incorpora altri due genera l’estinzione dei comuni incorporati; tre Comuni che, di contro, si uniscono producono un nuovo «ente», il quarto, incaricato dell’esercizio delle funzioni conferite. Insomma, una evidente distinzione in relazione agli effetti prodotti sino ad oggi sottovalutata a tal punto da generare un po’ di confusione nei meno attenti.
Proprio perché convinto assertore delle fusioni, specie in un territorio com’è quello calabrese ove c’è bisogno di una sensibile diminuzione dei centri decisionali e di spesa, auspico che le stesse vengano perfezionate seriamente e in modo tecnicamente ineccepibile, tenendo conto delle vere utilità dell’evento e non già perché abbagliati dalle solite agevolazioni finanziarie straordinarie, peraltro godibili solo sulla carta nella loro entità complessiva. Una scelta difficile da assumere, dunque, in relazione alla quale con Enrico Caterini, ci stiamo premurando di organizzare presso l’UniCal, dopo la calura estiva, alcune giornate di approfondimento sulla materia complessiva.
Ritornando all’evento di ieri, avrei voluto sviluppare il mio intervento su quattro punti: la Costituzione; le discipline regionali; l’incapacità della Regione Calabria a governare i relativi processi; la grande Cosenza.

Costituzione docet. Per intanto occorrerebbe che essa fosse digerita così bene da legislatori regionali, amministratori e cittadini coinvolti, a diverso titolo, nelle fusioni dei comuni, in modo tale da assumerne una conoscenza a 3D. Una tridimensionalità nella quale utenti e decisori pubblici sapessero ben esercitare i propri rispettivi ruoli. Un obiettivo sino ad oggi mancato, dal momento che annoveriamo legislazioni regionali per nulla rispettose, quantomeno: a) dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta ai comuni (art. 5 e 114 Cost.); b) dei vincoli comunitari che sanciscono pari dignità ai cittadini appartenenti agli Stati membri allorquando questi risiedono stabilmente in Italia (art. 117, comma 1, Cost.; c) delle previsioni tendenti ad assicurare l’assoluto rispetto del concorso obbligatorio all’equilibrio di bilancio consolidato dello Stato (artt. 81, 97, comma 1, e 119, comma 1, Cost.). Un modo per legiferare male e in modo poco accorto in relazione alle esigenze compositive di un sistema autonomistico locale che sia di buon livello competitivo ed esente da quei vizi impeditivi del conseguimento dell’equilibrio di bilancio complessivo territoriale (Regioni e i suoi comuni) (art. 119, comma 6, 2° periodo).

Compiti della burocrazia territoriale. Si constatano Regioni non affatto attente a: 1) disciplinare gli step procedurali, ivi compreso il contenuto dei documenti istruttori probatori dell’utilità dell’evento, da partecipare anche diffusamente ai cittadini per consentire loro scelte consapevoli; 2) prevedere, in via preventiva, l’elaborazione e la condivisione, largamente partecipata, dello strumento garante dell’esercizio dell’autonomia locale, ovverosia lo statuto nel nuovo ente; 3) imporre quei quorum necessari perché il previsto referendum consultivo possa divenire l’espressione certa della maggioranza degli aventi diritto al voto e costituire l’appuntamento istituzionale attraverso il quale le collettività comunali possano decidere se aderire alla fusione o meno e se, in caso affermativo, anche in formazione parziale, ovverosia esclusivamente in quella che ha manifestato al riguardo il richiesto consenso. Si constatano comuni che propongono «di pancia», supponendo di risolvere i loro problemi soprattutto approfittando delle agevolazioni statali e regionali (ove previste), senza sapere che anche queste si ridurranno a poca cosa, attesa l’attenta lettura della disciplina relativa. Lo fanno, pertanto, senza alcun preventivo esame di ciò che i loro territori esprimono in termini di valutazioni socio-culturali, statistico-economiche, geo-demografiche, giuridiche e via dicendo. In Calabria il peggio, ove degli studi di fattibilità – presenti altrove per imposizione legislativa regionale ovvero per diligente scelta volontaristica – neppure l’ombra. Un vulnus dimostrativo dell’assurdità di pretendere il voto al buio dei cittadini, ignari del proprio presente e futuro unitario, tanto da trattare la fusione come una scommessa tra le più azzardose.

Collettività non prontamente consapevoli dell’evento, seppure radicalmente trasformativo dell’esistente e non solo in termini di riferimento istituzionale locale. Proprio per questo non affatto pronte a pretendere di votare su nuovo disegno di città, su una rinnovata organizzazione burocratica, su un novellato progetto dei servizi pubblici e su un bilancio che è dettato dall’aggregazione dei dati che ciascun comune si porta dietro, anche in termini patrimoniali.

La Regione Calabria, si sa, ha dimostrato tutta la sua incapacità a governare il relativo processo. Lo ha fatto con le leggi storpiate nel marzo 2016 e corrette (si fa per dire!) nel dicembre successivo per ritornare poi ad applicarle nella sua peggiore ipotesi. Lo ha confermato con la istituzione dei Casali del Manco, violando la Costituzione, i vincoli comunitari e le leggi, nonché non rispettando l’autonomia propria dei comuni (Spezzano Piccolo) e la volontà dei relativi cittadini, forzatamente annessi al nuovo ente. Lo sta facendo, nell’ipotesi della fusione Corigliano-Rossano, non annullando in autotutela il decreto presidenziale di fissazione del referendum che viola i principi fondamentali della chiamata al voto dei cittadini residenti di provenienza comunitaria. Ma soprattutto commettendo il grave errore di decidere inconsapevolmente in termini di meritevolezza della proposta fusione. Come dire, decide sulla fiducia su progetti che non esistono e conferma, irresponsabilmente, la volontà degli enti proponenti che hanno fatto altrettanto nel dare il via all’evento. Con tutto questo la Regione viola l’obbligo di vigilare a che venga ad essere tutelata la consistenza civilistica e fiscale del nuovo comune, supponendo di affidare il compito al nominando commissario prefettizio incaricato di traghettare il nuovo ente sino alla acquisizione dei nuovi organi istituzionali. Il tutto potrebbe essere ampiamente risolto accelerando il percorso legislativo riferito alla proposta di legge, a firma dei consiglieri Franco Sergio e Orlandino Greco, che risolverebbe tutti i rilevati vizi di normativa e di procedura e introdurrebbe nuovi e provvidenziali strumenti. 

La grande Cosenza. Da ultimo, avrei affrontato la fusione della città di Cosenza con quella di Rende, nei confronti della quale mi sono dichiarato favorevole, a condizione che venga: a) assistita da una minuziosa analisi preliminare propedeutica alla redazione di uno studio di fattibilità «con i fiocchi»; b) estesa a tutto l’hinterland direttamente riferibile al ter
ritorio di continuità, complessivamente inteso, comprendente quantomeno i comuni di Castrolibero e Mendicino; c) corredata da una programmazione unitaria urbanistica, dei servizi e delle iniziative economiche, nonché da una ipotesi statutaria e da un corretto bilancio di fusione, con inventario del patrimonio al seguito; d) assistita da un minuzioso confronto comparativo delle rispettive programmazioni dei loro territori. Forse, meglio se il tutto venisse corroborato da un referendum preventivo!
Una iniziativa che per trasformarsi in realtà concreta dovrà tuttavia fare i conti con la disciplina del predissesto, la quale – se analizzata nel particolare (artt. 243 bis-quater del Tuel) che sancisce l’assoluta immodificabilità del relativo piano decennale di riequilibrio, fatta salva l’unica ipotesi dettata dal comma 7 bis dell’art. 243 quater che non riguarda il caso di specie – non consentirebbe la automatica estinzione dei comuni che origineranno la fusione, pena la dichiarazione di dissesto dei medesimi. 
Ad una tale ipotesi potrebbe opporsi, da attenti osservatori della materia, la fusione che ha riguardato e sta ancora riguardando le città di Pescara, Moltesilvano e Spoltore, per complessivi 194mila abitanti, la più consistente del Paese da un punto di vista demografico, approvata nel referendum consultivo celebratosi nel lontano 25 maggio 2014, che non trova ancora pace in una apposita legge-provvedimento regionale che istituisca la Nuova Pescara. Un evento che sta registrando ritardi e incertezze tali da fare paventare il suo esordio nel 2019.
Ciò è avvenuto per due ordini di motivi, entrambi connessi all’anzidetto fattore impeditivo. Il Comune di Pescara ha fatto, infatti, ricorso al piano di riequilibrio pluriennale, regolarmente approvato e in itinere, in quanto tale inibito dal perfezionare una fusione che determina la sua estinzione. Un handicap che ritengo superabile utilizzando l’istituto della fusione per incorporazione piuttosto che quella tradizionale, per unione, che avrebbe assicurato al comune di Pescara la sua continuità, succedendo agli altri due a titolo universale con munus. 
Una tecnica metodologica da utilizzare nell’istituire la grande Cosenza? Potrebbe anche essere, badando bene a fare precedere l’evento da una esperienza che rintracci nell’unione dei comuni interessati il vero banco di prova a che dalla loro fusione emerga, nel superamento definitivo delle Province, ciò che è meglio per le loro collettività e per la Calabria intera.

*docente Unical

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