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L’ombra pesante del clan sul Consorzio di bonifica

REGGIO CALABRIA La storia comincia in un night vicino Cuorgnè, in provincia di Torino. Rocco Varacalli, che all’epoca (siamo nel dicembre 2005) non è ancora un collaboratore di giustizia, incontra …

Pubblicato il: 12/07/2017 – 6:20
L’ombra pesante del clan sul Consorzio di bonifica

REGGIO CALABRIA La storia comincia in un night vicino Cuorgnè, in provincia di Torino. Rocco Varacalli, che all’epoca (siamo nel dicembre 2005) non è ancora un collaboratore di giustizia, incontra Giuseppe Barbaro per contrattare la cessione di un carico di coca: mille grammi per 37mila euro. Affare fatto e tanti saluti. C’è un pezzo della conversazione, però, che attrae l’attenzione degli inquirenti, ai quali Varacalli rende un interrogatorio da pentito nel 2007: «Barbaro mi disse che benché fosse in Piemonte risultava prestare attività lavorativa in Calabria poiché il caposquadra della Forestale metteva la sua firma attestante la presenza sul lavoro». A circa sei anni da quella chiacchierata in discoteca si collocano i fatti raccontati nell’inchiesta “Mandamento jonico”: parte degli operai forestali è transitata dall’Afor al Consorzio di bonifica dell’Alto Jonio reggino e, secondo i magistrati della Dda, è cambiato poco o nulla. Perché i lavoratori, la cui «presenza sul posto di lavoro» compare «regolarmente negli appositi registri» non lavorano per il Consorzio: «Venivano impiegati nell’interesse di Rosario Barbaro, detto Rosi, e degli appartenenti all’associazione» mafiosa, «procurando un danno all’amministrazione e un ingiusto guadagno patrimoniale, fino al mese di agosto 2011». Il loro vero impegno sarebbe stato quello di «svolgere lavori di ristrutturazione-sistemazione-gestione» a casa del presunto boss. Barbaro, in effetti, tramite il figlio, il genero e il nipote aveva «il controllo – di fatto – degli operai forestali dell’area di Platì». Con tre effetti, funzionali ai suoi scopi e devastanti per la legalità: «assicurare lavoro a soggetti legati alla consorteria, controllare il territorio» e ottenere «manodopera gratuita per lavori privati d’interesse degli affiliati». Non siamo davanti a un gruppo di furbetti del cartellino, di mezzo ci sono i clan più importanti della fascia jonica reggina. E c’è un elenco impressionante: i magistrati hanno ricostruito le parentele tra gli operai forestali impiegati – tra il 2011 e il 2012 – nel progetto di lavoro denominato “Bacino torrente Careri” e hanno trovato ben 67 lavoratori, tra i 95 della lista, collegati con le ’ndrine di Platì. Un bel gruppo, anziché lavorare al torrente, si dava da fare nel casolare di Rosario Barbaro. Che, dal luogo di lavoro “teorico” dista 23 chilometri in auto e 6 se si ha a disposizione un elicottero. Altro elenco impressionante è quello delle retribuzioni portate a casa dagli operai infedeli al Consorzio e fedeli al clan: decine di migliaia di euro. 


(La distanza tra il cantiere per i lavori alla fiumara Careri e il casolare di Rosario Barbaro)

ELEZIONI IMBARAZZANTI Ma le questioni imbarazzanti per il Consorzio di bonifica sono anche altre. E la seconda è più “politica”. Riguarda il ruolo dell’agronomo Pasquale Perri, considerato dagli inquirenti vicino (per ragioni di parentela e di interessamento ai business del clan) alla cosca Barbaro di Platì. Perri è, infatti, stato rieletto di recente nella rappresentanza del Consorzio di bonifica Alto Jonio reggino, in una tornata molto controversa, che ha rischiato di saltare e poi si è svolta ugualmente il 2 luglio. Con un’unica lista in campo: quella di Coldiretti che aveva tra le sue file il “consulente” (così lo considera la Dda di Reggio Calabria) della cosca aspromontana per i fondi europei. Un’elezione facile facile per Perri (tutti i candidati sono entrati a far parte del consiglio dei delegati), anche se arrivarci non è stato semplice. Ricostruiamo la vicenda.


(Un fac-simile della lista di Coldiretti: tra i candidati Pasquale Perri, indagato dalla Dda di Reggio Calabria nell’operazione “Mandamento jonico”)

A pochi giorni dalla consultazione, una lettera arrivata dal dipartimento Agricoltura della Regione sembra stoppare tutto. La burocrazia regionale consiglia vivamente di bloccare le procedure perché «si ritiene di poter essere in presenza di ipotesi di “grave irregolarità amministrativa” ovvero di “grave violazione di leggi, regolamenti e direttive regionali”». Pare il preludio a un bocciatura senza appello. E invece tutto va avanti come se niente fosse. Le elezioni si svolgono e addirittura, all’approvazione del verbale finale delle operazioni di scrutinio, partecipa pure un rappresentante della Regione. La stessa che avrebbe voluto sospendere le procedure. In questo bailamme, la tornata elettorale si conclude con un’astensione record. Il voto, nei Consorzi, è diviso in tre sezioni di contribuenza. Per la prima l’affluenza è del 6,23% (492 votanti su 7.896 aventi diritto), per la seconda del 12,87%, per la terza – è quella a cui partecipa Perri – si supera il 40,05%. È proprio questo  risultato a rendere valide le elezioni (la condizione è che in almeno una delle sezioni si raggiunga almeno il 30%). Tutti contenti. Soprattutto il presidente del Consorzio Arturo Costa.


(Arturo Costa, presidente del Consorzio di bonifica “Alto Jonio reggino”)

Che aveva preso male la lettera della Regione: «È una comunicazione abusiva – aveva detto in un’intervista –. La Regione ha solo il dovere di controllare e non ha il potere di intimidire, è solo il consiglio dei delegati a poter stabilire se rinviare le elezioni. E il consiglio dei delegati stamattina (le dichiarazioni risalgono al primo luglio, il giorno prima del voto) mi ha dato ragione. Intanto andiamo al voto regolarmente, poi vedremo chi ha ragione». A qualche giorno di distanza si ritrova con un consigliere nel mirino della Dda per la sua vicinanza al clan Barbaro. Una faccenda che potrebbe imbarazzare il Consorzio e Coldiretti. Forse sarebbe stato meglio dare ragione, per una volta, alla Regione. 

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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