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«Voglio solo vivere, sono disperata»

 CATANZARO «Mi aiuti io voglio solo vivere… non c’è giustizia avvocato ho paura… sono disperata, se mi vedesse ora tutta sporca e sciatta». È l’ennesima lettera che G.F., paziente affetta da Sla in…

Pubblicato il: 13/07/2017 – 6:33
«Voglio solo vivere, sono disperata»

 CATANZARO «Mi aiuti io voglio solo vivere… non c’è giustizia avvocato ho paura… sono disperata, se mi vedesse ora tutta sporca e sciatta». È l’ennesima lettera che G.F., paziente affetta da Sla invia al suo avvocato per denunciare lo stato in cui viene tenuta nella clinica San Vitaliano di Catanzaro. Quella paziente, ormai paralizzata in un letto, è un medico chirurgo internista, con quattro specializzazioni, una delle quali in medicina legale, e con in più una laurea in Giurisprudenza e una in Scienze politiche. È affetta da sclerosi laterale amiotrofica, i muscoli si bloccano progressivamente ma lei non perde la capacità di pensare, relazionarsi e rimanere cosciente. È una malattia degradante perché si ha bisogno di tutto, continuamente: di esser cambiati, spostati, di fare aspirare i muchi che invadono le vie respiratorie e che spesso portano al vomito. Ma G. F., vuole mantenere la sua dignità, è una “rompiscatole” che pretende di essere cambiata, di avere aspirati i muchi e di avere la privacy di vomitare – «il mio vomito di muchi che fa schifo pure a me» – con la porta chiusa, così come con la porta chiusa vorrebbe fare la fisioterapia motoria. Ma le esigenze della paziente si scontrano con la poca pazienza e disponibilità del personale che le si rivolge in dialetto per mostrarle insofferenza alle ripetute richieste di intervento. Ma la paziente è cocciuta, si scontra col personale medico, con gli infermieri, con gli oss (operatori socio-sanitari), minaccia di denunciarli e glielo dice in faccia comunicando con un comunicatore ottico, l’unica sua voce. Ma il personale medico – che mercoledì è stato tratto agli arresti domiciliari per maltrattamenti nel corso dell’operazione della Procura di Catanzaro “Urla silenziose” – non le dà importanza: «Nun cumincià cu denuncià ca un ti dugnu né acqua né café e ti chiudu puru u monitor, denuncia – denunciante», le dice in una occasione uno degli indagati, Giovanni Presta. 

IL RICATTO DEL MONITOR E LE UMILIAZIONI Quello di spostarle il monitor del comunicatore ottico è il ricatto più ricorrente. G.F. può comunicare col mondo esterno grazie a un’apparecchiatura in grado di registrare, attraverso un apposito puntatore ottico, i movimenti delle pupille della paziente. Se il puntatore viene spostato o il monitor viene spento lei viene privata dell’unico mezzo di comunicazione. Così per evitare che chiedesse assistenza le si toglieva il monitor. Lo faceva Emanuela Caporale che, scrive il pm Stefania Paparazzo, nella richiesta di misure cautelari «le impediva di chiedere assistenza togliendole il dispositivo elettronico che consente di intercettare il movimento delle pupille e quindi di muovere il cursore sullo schermo al fine di scrivere parole poi riprodotte in suono vocale, la minacciava, la insultava e la derideva reiteratamente…». Le frasi che gli uomini di polizia giudiziaria del Nisa e della Polizia di Stato hanno registrato hanno il seguente tenore: «Sì, iu u monitor tu mintu però… se tu usi il monitor e continui a chiamare io te lo tolgo sino a stasera, lo vuoi per compagnia se no arrivederci perché è giusto così, lo sai usare il monitor, lo usi come si deve è un no allora…».
E ancora: «Cumandanu illi, comandiamo noi il reparto lo comandiamo noi».
Ed è sempre la Caporale che a quella dottoressa plurilaureata immobile in un letto si rivolge dicendole: «Quantu cazzu pisci… io dalle 5.30 non piscio».

LE RICHIESTE DI AIUTO Le indagini partono da un esposto denuncia che un notaio di Catanzaro presenta a febbraio 2016, riferendo di essere stata contattata per motivi di lavoro dalla paziente. Già in passato, con un esposto del 20 settembre 2014, la paziente aveva cominciato a denunciare, tramite un avvocato, i soprusi e le prevaricazioni di cui si diceva vittima. G.F. mandava mail, si sfogava, raccontava le umiliazioni, i modi sgarbati che riceveva, con l’avallo anche di un medico, pure lui finito ai domiciliari, il dottore Giuseppe Rotundo.
Già nel 2014 la paziente scrive: «Chiamo l’oss per essere igenizzata, saluto e neanche mi risponde, chiedo cosa serve e mi risponde “no”… ho chiesto di esser messa a letto e mi ha detto “fai veloce che non sei nessuno”… durante la notte avevo muchi e l’infermiera non veniva, l’oss mi ha aspirato superficialmente e mi sono riempita di muchi e schernendomi dice “non ho paura di te, ho avvocati gratis”».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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