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Le “minacce” di Oliverio al governo. Mentre la Calabria brucia

La Calabria conosceva, ieri, la sua giornata più nera sul fronte dell’emergenza incendi. I tg nazionali aprivano con la notizia che stavolta si contavano anche le prime vittime: due calabresi morti…

Pubblicato il: 14/07/2017 – 14:40
Le “minacce” di Oliverio al governo. Mentre la Calabria brucia

La Calabria conosceva, ieri, la sua giornata più nera sul fronte dell’emergenza incendi. I tg nazionali aprivano con la notizia che stavolta si contavano anche le prime vittime: due calabresi morti per asfissia mentre tentavano di avere ragione delle fiamme che devastavano case e terreni. Impietose, le telecamere di Sky riprendevano i cittadini di San Pietro in Guarano mentre, aiutati da polizia, carabinieri e Croce rossa, lasciavano le case. Imprecavano: «Da stamattina non si è visto nessuno. Ci hanno abbandonati tutti. Vergogna. Dove sono i nostri governanti?».
Già. Dove erano? Erano a Palazzo Chigi dove il governatore delle Calabrie, Gerardo Mario Oliverio, aveva chiesto di incontrare se non il presidente Gentiloni, almeno il sottosegretario alla presidenza Boschi, insieme alla deputazione calabrese del Pd.
Il Governo non si è fatto vedere, la deputazione calabrese sì, quasi al completo. La Calabria brucia, ma a Palazzo Chigi si parlava di sanità e dell’urgenza di rimuovere l’attuale commissario Massimo Scura. Un chiodo fisso per Mario Oliverio. Lo ha spiegato a due funzionari, mandati alla riunione dalla Presidenza del consiglio come “osservatori”, e ai parlamentari calabresi presenti: Barbanti, Magorno, Covello, Censore, Bruno, Bruno Bossio e Oliverio (Nicodemo). Assenti i deputati Aiello e Battaglia e il senatore Minniti, che come ministro dell’Interno era in quel di Tripoli.
In sede ufficiale, Oliverio ha pesato le parole: c’è una implosione dell’Ufficio del commissario e la sanità calabrese rischia il definitivo collasso. Non si accettano altri rinvii, va nominato un nuovo commissario. Il Governo si deve determinare rapidamente in merito, la Regione Calabria si riserva autonome determinazioni.
Prudentemente, Oliverio non si spinge oltre. Non che abbia abbandonato l’idea, ormai diventata una irrazionale fissazione, di assommare anche la sanità alle decine di deleghe trattenute (con le dimissioni dell’assessore Carmen Barbalace, il governatore aggiunge l’interim sulle attività produttive alle deleghe su Gioia Tauro, programmazione, fondi comunitari, Turismo, Cultura, Forestazione, Agricoltura, Lavori pubblici, Ricerca scientifica, Ambiente, protezione civile e Cultura). Ormai sa bene, Oliverio, che, diversamente dal suo collega De Luca, non otterrà la nomina a commissario e quindi ripiega, o almeno finge di farlo, verso una scelta diversa ma concordata.
Fuori dalla ufficialità dell’incontro, però, Oliverio lancia messaggi meno felpati: «Ci pensino bene tutti prima di portarmi alla rottura definitiva». E giù la minaccia di «fare come Loiero», vale a dire presentarsi alle prossime elezioni politiche con liste proprie.
Non pare abbia impressionato nessuno. Loiero certe sfide poteva permettersele: era al primo anno da governatore, a Roma le porte le trovava sempre aperte, in Calabria schierava un esercito tutt’altro che trascurabile. Non è tutto, quella operazione nasceva non “contro” ma “pro”, come dimostrerà il ruolo determinante svolto dal senatore Pietro Fuda, eletto dalle liste di Loiero, in difesa della presidenza di Romano Prodi.
Insomma, non basta ingerire molti liquidi per crescere di volume. Lo insegnavano le favolette della scuola primaria, raccontando di quel ranocchio che vedendo il bue abbeverarsi e volendo pareggiarlo in stazza, cominciò a bere. Bevve davvero tanto. Fino a scoppiare.

 

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