Ultimo aggiornamento alle 10:28
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 7 minuti
Cambia colore:
 

OUTSET | La Gomorra vibonese dei Piscopisani

VIBO VALENTIA «Praticamente questo ragazzo doveva morire». Le parole del pentito Andrea Mantella sono pesanti e raccontano con cruda semplicità come si regolavano i conti negli ambienti della ‘ndra…

Pubblicato il: 15/07/2017 – 10:01
OUTSET | La Gomorra vibonese dei Piscopisani

VIBO VALENTIA «Praticamente questo ragazzo doveva morire». Le parole del pentito Andrea Mantella sono pesanti e raccontano con cruda semplicità come si regolavano i conti negli ambienti della ‘ndrangheta di Vibo nei primi anni Duemila. La faida sanguinosa che sarebbe esplosa negli anni successivi covava ancora sotto la cenere, ma le fasi che portarono all’omicidio di Giuseppe Pugliese Carchedi, ricostruite nelle carte dellinchiesta “Outset” che ha portato a 8 arresti tra i clan vibonesi, facevano già capire di che pasta fossero fatti i protagonisti della cruenta storia criminale che sarebbe stata scritta dal 2010 in poi.
Gli investigatori della polizia e i pm della Dda di Catanzaro ritengono di aver fatto luce sul delitto Carchedi incrociando le vecchie risultanze investigative con le dichiarazioni di due pentiti eccellenti: Mantella, pezzo da novanta della mala di Vibo cresciuto all’ombra dei Lo Bianco e poi staccatosi dalla cosca-madre, e Raffaele Moscato, elemento di vertice del gruppo allora emergente dei Piscopisani.

L’AGGUATO Il 17 agosto del 2006, poco dopo le 4 del mattino, polizia e carabinieri di Vibo intervengono sulla statale 522: qualcuno ha segnalato un incidente sulla strada che collega Vibo Marina a Pizzo. La scena che le forze dell’ordine si trovano davanti, però, non è quella che si aspettavano. Una Lancia Y è andata a sbattere contro un muro, ma al suo interno, o meglio con i piedi ancora nell’abitacolo ma con il corpo supino sull’asfalto, giace un giovane morto ammazzato. Si tratta di Carchedi, che all’epoca non aveva ancora compiuto 26 anni e che, evidentemente, al momento dell’agguato stava seduto sul lato passeggero. Il guidatore però si trova solo nelle ore successive, era fuggito via ma, più che scampare ai killer, era stato graziato. Francesco Macrì, d’altronde, quella sera era stato visto da diversi testimoni assieme alla vittima e, in seguito, sarà lui stesso, inconsapevolmente, a raccontare cosa è successo agli inquirenti che lo intercettano. Macrì è parente di Mantella e, proprio come Carchedi, è considerato persona vicina ad Andrea “a’ guscia”, tant’è che racconterà anche al futuro pentito dell’agguato del 17 agosto.  

LA VITTIMA Negli ambienti della mala locale, Carchedi è considerato una testa calda, uno che a volte si comporta “da pazzo”. È fidanzato ufficialmente con la figlia di Enzo Barba, ma ha una relazione clandestina anche con una ragazza minorenne, figlia di un uomo che farebbe parte del gruppo di Piscopio, Nazzareno Felice. Inoltre tra lui, uomo di Mantella e quindi dei Lo Bianco, e i Piscopisani non corre affatto buon sangue. Oltre alla “questione d’onore” della ragazza minorenne, sarebbe stato lui ad incendiare lo zerbino di un bar di Pino Galati, “il ragioniere”, e come ulteriore gesto di sfida avrebbe anche messo un cane morto in bella vista in piazza a Piscopio. Carchedi avrebbe anche minacciato con un fucile un cugino di Michele Fiorillo “Zarrillo”. Comportamenti che nei codici ‘ndranghetisti esigono una risposta. Così il 19 febbraio 2005 Carchedi subisce un primo agguato, in cui rimane solo ferito. Appena esce dall’ospedale, il 7 marzo del 2005, il giovane viene arrestato, per essere scarcerato il 25 luglio 2006.

I PISCOPISANI Passano appena venti giorni dal suo ritorno in libertà e si consuma l’agguato che gli costa la vita. Il padre della ragazza con cui aveva una relazione, dicono i pentiti, aveva il «chiodo fisso», doveva lavare il disonore subìto. Ma a ucciderlo materialmente, secondo quanto emerge dalle indagini, non sarebbe stato lui. Entrambi i collaboratori di giustizia vibonesi hanno indicato come esecutori Rosario Mantino e Rosario Fiorillo “pulcino”. Moscato aggiunge al racconto di Mantella anche la presenza di “Zarrillo” e Davide Fortuna nel commando. Mantella dice di aver appreso la storia dal suo braccio destro Ciccio Scrugli e dal testimone oculare, Macrì. Moscato, invece, alcune cose le ha viste con i suoi occhi, altre gliele hanno raccontate i presunti autori di quel fatto di sangue.
Che Carchedi dovesse morire, insomma, era stato già deciso. Probabilmente già diversi mesi prima il clan di Piscopio aveva emesso la sentenza di morte, senza però pianificare granché: il primo che lo pigliava avrebbe dovuto farlo fuori.

GOMORRA VIBONESE Quella sera non c’è alcuna discussione, nessuno scontro, è sufficiente che la vittima, assieme a Macrì, si faccia vedere in un bar a Vibo Marina in cui stazionano proprio i giovani azionisti del clan di Piscopio. Un affronto. I due arrivano e scendono dall’auto con atteggiamento di sfida, secondo i due pentiti. Appena li vedono, Mantino e i due Fiorillo se la ridono e si allontanano subito dal bar. Lì nei pressi a osservare tutta la scena rimane Moscato, a cui Davide Fortuna chiede, invano, l’auto in prestito. Pochi minuti dopo gli altri tre si rifanno vedere, a bordo di una vecchia Renault 5 di Mantino. Fanno salire in auto anche Davide Fortuna e – secondo Moscato – si dirigono a Pizzo seguendo Carchedi e Macrì, che nel frattempo si sono allontanati e sono finiti in un bar napitino a bere e a litigare minacciando il banconista.
Poi i due vanno via e si rimettono in auto per tornare a Vibo, ma a pochi passi dal castello di Pizzo si trovano in mezzo a un fuoco incrociato. Almeno in due si appostano su due lati della strada e gli sparano contro, ma Macrì, che è alla guida, riesce a proseguire nonostante i colpi d’arma da fuoco. I killer non demordono e si mettono all’inseguimento. Raggiungono la Lancia Y e cominciano a speronarla, più volte. Uno, due, tre tamponamenti. Anzi, «tamponamenti e sparate», dice Moscato, «da Pizzo fino a Vibo Marina, sempre sparando». Fino al muro contro cui finisce la corsa della Lancia Y. Macrì prova a tirare fuori dall’auto Carchedi, che però è già morto, quindi fugge via ferito, buttandosi in un burrone.
I rilievi della Polizia scientifica provano che sul posto ci sono frammenti del paraurti e di un faro di una Renault 5. Macrì aveva parlato di una Bmw o un’altra auto di grossa cilindrata, invece questa circostanza conferma in toto il racconto di Moscato.

«PER L’ONORE L’HANNO AMMAZZATO» «Eh! Ha ingannato una figliola, voi non sapete niente! Eh! Per onore l’hanno ammazzato! … ‘ngannau na figliola…», spiega, intercettata, una nipote del capocosca Carmelo Lo Bianco. «Lo avevano già deciso, solo che i giovanotti…», si lascia invece scappare Antonio, il padre di Francesco Macrì. «Ci hanno investiti tre volte», racconta il figlio in un altro frangente , «… ho visto che era morto, l’ho cacciato dalla macchina… ho visto che era morto e l’ho lasciato là! E me ne sono andato… mi sono buttato in un burrone».
E Moscato racconta quello che gli ha riferito Rosario Fiorillo: «“Chillu jiu Michele e sparau”, dice. “Cu i pistoli a tamburo. E ci siamo messi dentro la macchina, mi misi proprio io senza guanti” dissa… “e mi misi all’appoggia mani, pemma ci trasu dintra e pemma ci sparu”, mi dissa, “e Francesco Macrì facia tricentu ccu i gambi” nel senso che scappava, “… però lo abbiamo fatto scappare noi”».
L’agguato, secondo i due pentiti, non era stato pianificato. Quella sera i giovani e spietati killer del clan di Piscopio si sono semplicemente trovati davanti quel 25enne che era stato già condannato, che «doveva morire», e hanno agito. Così si regolavano i conti nella Gomorra vibonese del nuovo millennio.

 

Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x