Si può veramente pensare che un quartiere venga considerato dal comune sentire come zona extraterritoriale perché in mano alla delinquenza più o meno organizzata? Una zona nella quale vige una legge non scritta, che non è quella dello Stato italiano, ma che fa così tanta paura da essere osservata anche da quei nuclei familiari che con la malavita non hanno nulla da spartire se non il dover condividere i luoghi comuni della residenza.
Non è il retaggio di un racconto del vecchio quartiere newyorkese del Bronx, oggi comunque prevalentemente restituito alla civiltà della vita; si sta parlando della civilissima Catanzaro, del capoluogo della Calabria che nella sua periferia è avversata da un’area di criticità dove, specie nelle ore serali, si spaccia droga.
In quella zona, secondo quanto è stato possibile apprendere da un coraggioso servizio di Gazzetta del Sud, a firma Luana Costa, in molti «tentano di scappare e chi non ci è riuscito vi ritorna la notte solo per dormire avendo trascorso le ore del giorno altrove».
Quell’agglomerato urbano preoccupa non poco i catanzaresi non solo perché versa in uno stato di degrado a tutti palese, ma soprattutto per le condizioni di sicurezza che da una certa ora in avanti sono considerate ad alto rischio. Una realtà che, nell’immaginario collettivo, appare come dimenticata da coloro che vivono nei palazzi che contano. E non si sa quanto involontariamente considerato che l’astensionismo elettorale può rendere “forte” il rapporto clientelare fino a poter rischiare persino di diventare collusivo specie, come è accaduto in passato, se si accettano pacchetti di voti controllati da taluni ambienti. Uno scenario rispetto al quale non si può pensare che le risposte possano essere date solo dalla “politica giudiziaria”.
In questa nostra terra, oramai ridotta ai minimi storici quanto a rappresentanza politica di spessore, si intuisce il perché sia possibile “sopportare” aree delle periferie delle città che fanno paura ad essere frequentate e che vengono il più possibile isolate ed evitate favorendo così, involontariamente, il proliferare del male affare.
Sbaglierebbero coloro che ritenessero che dopotutto si tratta di aree distanti dalle loro abitazioni; le conseguenze, come sempre accade, ricadono sempre su tutta la comunità e soprattutto su chi, a livello locale, la rappresenta amministrativamente. Al di là dei servizi repressivi messi in atto dalle forze di polizia, è sotto gli occhi di tutti che per Viale Isonzo si è fatto, e si continua a fare, poco o nulla per tentare di riportarlo fuori dal degrado che continua a penalizzare tutta la città.
Oggi che in Municipio si ritorna a parlare di politica e di elezioni delle rappresentanze, potrebbe costituire un solido motivo di attenzione ritornare a parlare di integrazione e, guarda caso, questa volta non già verso quei nuclei familiari di etnia rom “tradotti” anni fa verso Viale Isonzo dove hanno imposto le loro abitudini e le loro leggi, ma nei confronti di quelle famiglie di catanzaresi che oggi nelle loro dimore preferiscono andare solo per passare la notte mentre di giorno portano i loro figli lontano dall’illegalità che, a quanto pare, dopo aver cambiato il volto di quel quartiere, sembra voglia estendersi nelle zone limitrofe.
In altre periferie del Nord del Paese per combattere il fenomeno le amministrazioni locali hanno pensato di istituire un assessore alla legalità. Perché non realizzarlo anche a Catanzaro?
*giornalista
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