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La Calabria che ruba ai poveri

LAMEZIA TERME La Calabria che ruba ai poveri punta a guadagni facili. Si nasconde in uffici pubblici o, del settore pubblico, utilizza i fondi per scopi tutt’altro che commendevoli. È rapace e senz…

Pubblicato il: 18/07/2017 – 13:08
La Calabria che ruba ai poveri

LAMEZIA TERME La Calabria che ruba ai poveri punta a guadagni facili. Si nasconde in uffici pubblici o, del settore pubblico, utilizza i fondi per scopi tutt’altro che commendevoli. È rapace e senza scrupoli: punta i progetti destinati ai bisognosi e fa man bassa delle risorse necessarie a sostenerli. Famiglie in difficoltà, anziani, migranti, non conta la categoria. Quello che importa è «mangiare tutti», per utilizzare lo slang dei funzionari dell’Asp di Catanzaro presi con le mani nella marmellata dalla Guardia di finanza. 

IL POZZO DI SAN PATRIZIO Quando è stato presentato, il 24 giugno 2014, il progetto Stop&Go si è guadagnato uno spazio importante nelle cronache. L’idea di fondo era quella di permettere un «invecchiamento attivo e in salute» e razionalizzare le cure per gli anziani facendo affidamento sulle nuove tecnologie. Risultato: chi ha “lavorato” al progetto non ha fatto nulla a parte mettere le mani su decine di migliaia di euro. «Ce lo pappiamo!» è l’espressione che racconta meglio l’atteggiamento della cricca nei confronti del piano finanziato (anche) dalla Commissione europea. Ci sono i propositi di favore nei confronti di una collaboratrice («Le faccio subito azzannare a Gabriella 1.000 euro»). E – quando ormai è troppo tardi e gli investigatori ascoltano – le timide preoccupazioni: «Un progetto europeo che tu gli dai 1.500 euro al mese a Ieso Rocca, questi sono soldi rubati. Adesso bisogna vedere come cazzo dobbiamo aggiustare». Tabulati e rimborsi spese raccontano di viaggi all’estero e cene per tutta la famiglia, mentre le cure innovative per gli anziani catanzaresi non erano neppure state lontanamente pianificate. Il direttore generale dell’Asp Giuseppe Perri definisce la gestione del denaro di Stop&Go «una cosa gravissima» e il direttore sanitario Carmine Dell’Isola gli risponde: «Peppino ma il problema non è il pagamento, il problema è che non c’è nulla». E ancora Perri: «Ma uno che si paga 9.000 euro al mese deve fare un progetto per far partire la navicella nello spazio». Nella trascrizione c’è un passaggio «illuminante» da parte di Dell’Isola: «Cioè, Giuseppe qui la prima cosa che io vorrei sapere è il lavoro. Che cosa è stato fatto. Ed è la prima cosa. Poi tu mi dimostri il lavoro e mi dici “questo è il lavoro, dimmi quante ore-uomo ti stanno dietro, chi ha lavorato, cosa ha fatto”. Ok. Invece qui c’è la distribuzione dei pani e dei pesci, non c’è un’attività, capito? C’è un pozzo di San Patrizio». 

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I POVERI? BUONI PER LE STATISTICHE L’idea del Credito sociale – che la Regione aveva affidato a Calabria Etica – era invece quella di aiutare «coloro che versano in situazioni di temporanea difficoltà economica, contingenti o legate a momenti di criticità del ciclo di vita familiare e personale». Un prestito pensato per dare qualche momento di serenità alle famiglie povere. E invece – utilizziamo le parole di Nicola Gratteri – «sono stati sprecati fondi che servivano per dare sostegno e respiro a chi ha bisogno, a chi è in difficoltà, sono stati sprecati in modo scientifico con artifici e raggiri. Persone spregiudicate e insensibili ai bisogni della gente hanno utilizzato questi fondi per fini propri, hanno rubato». Dei Robin Hood al contrario: politici (in manette è finito il consigliere regionale Nazzareno Salerno), imprenditori, avvocati. Quei soldi avrebbero permesso, forse, a qualche nucleo familiare di arrivare alla fatidica quarta settimana. Invece sono svaniti, secondo la Dda, tra finti prestiti allo stesso Salerno e anche in Svizzera, dove sono stati rintracciati bonifici per 800mila euro destinati a un fantomatico progetto giubilare. Operazioni di factoring, operazioni di leasing: alta finanza, altro che aiuto ai poveri. Questo mentre Salerno si mette al lavoro per «impossessarsi del fondo, sia in senso lato che, effettivamente, delle sue risorse». E i poveri? In Calabria sono buoni solo per le statistiche.

MIGRANTI SENZA CIBO, MAFIOSI CON LA BARCA Lo sono pure i migranti. Arrivati al Cara di Isola Capo Rizzuto per ingrossare i conti della ‘ndangheta crotonese. Leonardo Sacco, colletto bianco che aveva scalato le Misericordie prima dell’operazione Jonny della Dda di Catanzaro avrebbe usato il maxi centro di accoglienza per rimpinguare la bacinella dei clan. Prendiamo il solo 2009: a Isola Capo Rizzuto arrivano 13 milioni di euro. Dove vanno a finire? 528mila alla parrocchia Maria Assunta, 432mila vengono prelevati in contanti dai conti della Fraternita di Misericordia, 2 milioni vengono stornati in investimenti immobiliari. Dal subappalto che riguarda il catering per la fornitura dei pasti dai migranti, poi, evaporano altri 2,8 milioni. Come si faccia a lucrare sull’emergenza lo spiega ancora il procuratore capo di Catanzaro Gratteri: «Siamo riusciti a dimostrare come all’interno del Cara di Sant’Anna siano accadute delle cose veramente tristi. Prendiamo, ad esempio 500 immigrati che devono mangiare a mezzogiorno, arrivano i pasti per 250 immigrati, 250 restano digiuni e mangeranno la sera, se arriveranno in tempo, altrimenti mangeranno il giorno dopo. Nel frattempo il presidente della Misericordia (Leonardo Sacco, ndr), il prete (Edoardo Scordio, ndr) e la cosca Arena si ingrassano per milioni di euro». E «con quei soldi comprano teatri, cinema, macchine di lusso e barche di lusso. Il tutto sulla pelle di questi disgraziati. Il Cara era diventato un grosso business per la ’ndrangheta per milioni di euro».  Lo dicono anche i pentiti che le “famiglie” di Isola «per la gestione delle mense spendevano pochissimo, attesa la qualità e la quantità del cibo che propinavano agli extracomunitari, gonfiando i costi tramite fatturazioni per operazioni inesistenti». I pasti venivano “ricondizionati”. Cosa significhi lo spiegano le immagini registrate dagli investigatori: «Per una giornata tipo, i quantitativi somministrati giornalmente – si legge negli atti dell’inchiesta – sono inferiori al numero previsto dalla Convenzione, in quanto molte volte i contenitori (teglie) delle pietanze venivano interamente svuotati nel corso della distribuzione che normalmente non avveniva nei confronti di tutti i migranti presenti tanto che, in alcuni casi, gli utenti ancora in fila rimanevano senza mangiare». Il nodo è sempre quello: «mangiare». Se devono farlo i colletti bianchi ci sono “pasti” a volontà. Per gli altri solo le briciole. A volte, neanche quelle. 

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

 

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