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Il Pd a Catanzaro ha preferito perdere

CATANZARO Sergio Abramo ha appena varato la squadra con la quale completerà il suo ventennio alla guida di Catanzaro. La vittoria nel ballottaggio del 25 giugno ha prodotto uno scossone nel campo a…

Pubblicato il: 20/07/2017 – 6:42
Il Pd a Catanzaro ha preferito perdere

CATANZARO Sergio Abramo ha appena varato la squadra con la quale completerà il suo ventennio alla guida di Catanzaro. La vittoria nel ballottaggio del 25 giugno ha prodotto uno scossone nel campo avversario: del Pd nel capoluogo restano soltanto le macerie. È il risultato di errori strategici e scelte sbagliate che hanno presentato i dem, il loro candidato e la coalizione che lo sosteneva come un pezzo del vecchio potere. Più vecchio addirittura del sindaco uscente. Eppure Abramo era primo cittadino di Catanzaro quando a Reggio Calabria il sindaco era Falcomatà. Ma quel Falcomatà era l’amatissimo Italo, non il figlio Giuseppe. Alla politica piace utilizzare il lessico della pubblicità. Allora si può dire che quello del Partito democratico è stato uno storytelling fallimentare. Ed era tutto già scritto in un documento firmato un anno fa dallo stesso pezzo di Pd che aveva accarezzato la possibilità di guidare il capoluogo con Salvatore Scalzo, nel 2012. Dunque: gli elementi per l’analisi sono il lascito di quell’esperienza elettorale e due documenti. Entrambi arrivano dal circolo Lauria, la culla della candidatura di Scalzo. Il secondo è stato scritto dopo la sconfitta dello scorso giugno: è molto simile al primo (quello del 2016), che la sconfitta la prefigurava e offriva un strada per evitarla. Una strada irta di “se”: se il Pd fosse riuscito a scrollarsi di dosso la propria pesantezza, se avesse abbandonato i giochi di Palazzo, se non si fosse perso tempo in calcoli su correnti e candidature al Parlamento. In quel caso, forse, l’esito sarebbe stato un altro. Ma il punto è proprio questo: i democratici calabresi hanno preferito perdere.

«Lo status quo (inteso sia come assetto dirigente che come contenuti) – scriveva l’assemblea del circolo Lauria nel 2016 – ha già subìto una pesante e sonora sconfitta da parte degli elettori (…), il nostro essere iscritti e dirigenti ci impone un cambio di passo radicale, altrimenti siamo condannati a scomparire». Mentre Abramo era già lanciato in una lunga volata elettorale, il centrosinistra non brillava per «antagonismo» e aveva riportato una preoccupante sconfitta a Cosenza. La corsa di Carlo Guccione nella città dei Bruzi era stata vana. Anche perché agli elettori era stata proposta un alleanza «imprevedibile, lontana dalla nostra visione di società (alla Verdini)». Il messaggio era più che chiaro: non ripetiamo gli stessi errori. E invece… 
C’è un tratto comune e apparentemente incomprensibile nel percorso elettorale che ha segnato Cosenza prima e Catanzaro poi: i due sindaci uscenti apparivano come i candidati del “cambiamento” di fronte ai rappresentanti del centrosinistra, che parevano propaggini dell’establishment. Questione di storytelling, si diceva, ma pure di scelte. A Cosenza prima la sfiducia a Occhiuto, cavalcata dal sindaco come un attacco delle vecchia politica al “nuovo” che avanzava (cioè lui, che governava da cinque anni), poi il patto con Verdini e il passaggio di pezzi della vecchia maggioranza nella compagine che sosteneva Guccione: impossibile per il Pd presentarsi come la forza del cambiamento. A Catanzaro si è scelto di formare una maxi coalizione raccogliendo, di nuovo, i transfughi del centrodestra. Abramo ha potuto sfoderare l’arma del rinnovamento: una concessione incredibile per un sindaco che aveva già svolto tre mandati. Eppure i dem sono riusciti nel miracolo. «L’esperienza di Cosenza – sono sempre parole del circolo Lauria targate 2016 – ci insegna che là dove prevalgono ragionamenti incomprensibili agli elettori, si perde nelle urne. Non possiamo permetterci di replicare lo schema della città bruzia, con alleanze bislacche e in parte “mostruose”». Detto, fatto.
Con un dato numerico di partenza in più a rendere assurdi i ragionamenti messi in campo. Salvatore Scalzo, nel 2012, venne votato da 24.054 catanzaresi; Abramo (che in quell’anno di voti ne ottenne 28.282) nel ballottaggio di giugno ha totalizzato 21.963 preferenze. E Ciconte solo 12.148. Il patrimonio disperso è enorme. Ma c’è una ragione per tutto. Sempre nel documento-presagio, il circolo Lauria chiedeva di porre fine agli «annacamenti» e puntare al voto. E invece iniziano gli incontri con i “saggi”, che finiscono quasi subito. E poi si evita di celebrare il congresso cittadino. Perché? I maligni dicono per evitare che il segretario cittadino diventasse Pasquale Squillace (ora segretario dimissionario del “Lauria”). Alla fine l’assenza di una guida forte e legittimata dagli iscritti peserà e non poco sul percorso politico. Ma non finisce qui, perché si comincia a parlare di candidati.


(Giuseppe Gualtieri)

Il Pd in realtà avrebbe l’uomo giusto: Giuseppe Gualtieri, questore a Potenza con Catanzaro nel cuore. Un uomo che renderebbe difficile far passare Abramo per il “nuovo”. Ma, come nelle migliori tradizioni, Gualtieri cade sotto un duplice fuoco amico. Da una parte ci sono vaste aree del Pd che preferiscono ragionare in termini di equilibri per le prossime candidature al Parlamento, dall’altra l’area movimentista, che chiede le primarie e candiderà il prof Nicola Fiorita, non ci sta a cedere il passo. Sono tutte posizioni comprensibili. Ma segnano – a giochi fatti – l’inizio della fine. Anche il circolo Lauria, dopo il monito lanciato, fa un passo indietro. Ne fa uno in avanti, invece, il segretario regionale del Pd Ernesto Magorno, che si inventa la direzione cittadina e la dirige. Tentativo inconcludente. Ma sono (anche) altri i passaggi a vuoto. Sfumata la candidatura di Gualtieri, si fa avanti l’ipotesi di un sostegno unitario a Fiorita. Il docente dell’Unical incassa un’apertura da alcuni settori del Pd (gli si oppone chi, come Sandro Benincasa e Aldo Casalinuovo, poi finirà per sostenerlo alla prova dei fatti), il fronte che si schiera al suo fianco pare allargarsi. Poi i dem decidono di cambiare strada. Decidono di perdere. La direzione cittadina comincia a intavolare discorsi con il Nuovo centrodestra del senatore Piero Aiello. «Annacamenti», appunto, che finiranno per lacerare il centrosinistra (e senza neppure l’accordo con i centristi, che virano su Abramo). Nel campo di Fiorita, invece, c’è Arturo Bova. Che pare quasi perseguire l’isolamento: per intestarsi, dicono i maligni, in solitario il risultato elettorale e capitalizzarlo all’interno del Pd. In questa fase confusa si fa avanti la pervicace volontà di Vincenzo Ciconte. La sua è una candidatura “contro”.


(Ciconte, Delrio e Oliverio)

“Contro” Mario Oliverio, che lo ha “accompagnato” fuori dalla giunta dopo l’avviso per Rimborsopoli. “Contro” le scelte del governo regionale che penalizzano Catanzaro. “Contro” Fiorita, ma più che altro contro Bova (i due non si amano affatto). Ciconte prova collaborazioni con chiunque (le cerca pure a destra), il suo mandato esplorativo è un lavoro incessante per tessere accordi. Cerca una mediazione che pare impossibile ma “rompe” con il Nuovo centrodestra, che porterà in dote ad Abramo il 10% di consensi. Ciconte costruisce un’armata di consiglieri che somiglia a una sommatoria di pacchetti di voti. È uno schema vecchio, troppo vecchio. Poi evita i confronti pubblici. Sembra lui il sindaco dei tre mandati, non Abramo. E Oliverio cosa fa? Come sempre, il presidente sparisce quando fiuta aria di sconfitta: si inabissa, come il risultato elettorale del Pd che, sacrificato a elucubrazioni cervellotiche, perde. A risultato acquisito arriv
a l’analisi del circolo Lauria. Che prova a mettere in fila gli errori: il «sabotaggio dell’elezione del segretario cittadino, la successiva nomina dei saggi come supervisori del percorso elettorale», l’«indicazione dell’allora sindaco di Decollatura Annamaria Cardamone a commissario del partito». Scelte «funzionali agli interessi delle élite e di chi piega il proprio impegno politico ai soli interessi personali» per «preservare la massima libertà nella spartizione di poltrone e blasonate candidature a Camera e Senato». È a questo che pensavano per tutto il tempo i maggiorenti del Pd catanzarese. A preservare le proprie carriere politiche. Pensavano alla stessa cosa anche a Cosenza. E ci penseranno ancora. Fino a quando – di questo passo succederà – delle «blasonate candidature» non rimarrà che il ricordo. E il centrodestra? Per ora se la ride e, sulla scorta del successo, pensa a riprendersi la Regione. Anche Abramo, però, ha i suoi problemi. (1. Prosegue)

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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