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Stalking politico contro la Marcianò

Lo stalking applicato alla politica. Peggio: lo stalking come tecnica di allontanamento dall’impegno istituzionale di quanti stanno sul groppone a un certo modo di intendere e vivere la politica ne…

Pubblicato il: 20/07/2017 – 18:07
Stalking politico contro la Marcianò

Lo stalking applicato alla politica. Peggio: lo stalking come tecnica di allontanamento dall’impegno istituzionale di quanti stanno sul groppone a un certo modo di intendere e vivere la politica nelle istituzioni governate.
Non troviamo modo migliore per rappresentare quanto sta avvenendo in riva allo Stretto con l’indecoroso accerchiamento di cui è vittima l’assessore alla Trasparenza e ai Lavori pubblici di Reggio Calabria.
Il sindaco non la vuole tra i piedi, specialmente da quando la considera usurpatrice del posto in segreteria nazionale del Pd che Renzi gli aveva fatto sognare. I nove gruppi consiliari che compongono la “coesa” maggioranza di centrosinistra, la processano in contumacia e poi conferiscono a Falcomatà un “ampio mandato” a risolvere il caso anche con la revoca della “reproba”. L’assessore allo Sport, Latella, le imputa di essere poco fattiva e annega nel ridicolo quando si vede elencare le strutture sportive rimesse in piedi dall’attività di Angela Marcianò. Il gruppo consiliare “Idem”, quasi a tener fede al nome, rilancia il tutto aggiungendo elenchi di incompiute (manca solo il Ponte sullo Stretto e la diga di Gambarie). Castorina, capogruppo Pd,  pone il problema se un non tesserato può far parte della segreteria nazionale del Pd. Tutti insieme, infine, sottolineano le numerose “assenze ingiustificate” dell’assessore Angela Marcianò dalle riunioni di giunta.
Chi leggesse questa raffica di comunicati a palle incatenate, senza avere cognizione diretta delle cose, penserebbe che una signora annoiata e dall’incerta vita professionale si è insediata nottetempo nel cuore amministrativo della Città metropolitana di Reggio Calabria per impedire alla teutonica giunta Falcomatà-Romeo-Abenavoli di riportarla agli antichi fasti per poi lanciarla verso un radioso avvenire.
Ma è una tipa tosta, la Marcianò, e nel silenzio dei “sovranisti” prende carta e penna e si difende da sola: qualche assenza dalla giunta? Inevitabile al nono mese di gravidanza: «La mia assenza ingiustificata in qualcuna delle ultime giunte in effetti sarebbe “soltanto” da attribuire al mio stato di avanzata gravidanza e se questa è la portata delle mie colpe, temo che ben poco di edificante potrò dire al bambino che porto in grembo sulla solidarietà che ho ricevuto nel periodo della mia vita prima della sua nascita». 
Un po’ di vergogna non guasterebbe per i detrattori della Marcianò, ma a certe latitudini rossore e vergogna sono apolidi. Eppure sarà difficile dire che quel “pancione” è passato inosservato, di conseguenza ha ragione la Marcianò nel definire vili  gli attacchi riservatigli: «Pur essendo tutti a conoscenza delle difficoltà che sto attraversando per delle complicanze sopravvenute, i miei avversari mi attaccano vilmente proprio nel momento in cui, comprensibilmente, verso in situazione di maggiore debolezza fisica e mentale».
La butta su vittimismo? Niente affatto, perché dopo aver sottolineato la vigliaccata ecco l’elenco delle cose fatte e di quelle che sarà possibile fare non appena gli altri uffici comunali si metteranno a produrre lavoro invece di fare clientele e salotto. Come nel caso della palestra di Archi dove, pur essendo pronte, le perizie di completamento sono  ancora all’Ufficio Ragioneria in fase di lavorazione per la necessaria variazione di bilancio. O quella di Ravagnese, che sarà trattata ed approvata assieme a quella che riguarda la palestra di San Giovannello. Ma  «è il caso ricordare agli immemori  che di mio pugno ho dovuto correggere ed eliminare  alcune indicazioni contenute nella prima stesura della delibera (ancora in mio possesso) non in linea con i principi di correttezza e trasparenza che ho preteso a presidio dell’attività del mio assessorato». E i  Patti per il Sud? Possibile che i censori della Marcianò non sappiano che «manca ancora la liquidità delle somme, tanto che diverse imprese hanno già scritto all’amministrazione chiedendo conto dei mancati pagamenti»?
Poi le cose fatte, dalla riapertura del PalaCalafiore al rifacimento dello stadio comunale Granillo per consentire alla Reggina di disputare le partite in casa. Dalla riapertura della palestra della scuola di Mosorrofa alla riattivazione del Palacolor di Pellaro («che ho seguito personalmente, senza ostentazione e in discreto silenzio, coadiuvata dall’architetto Bova, che con l’occasione ringrazio per l’egregio lavoro svolto prima del suo pensionamento. Non sono stata neanche presente tra i  partecipanti all’inaugurazione del plesso sportivo, perché  neanche preavvisata o invitata alla cerimonia  della quale  ho appreso la notizia solo dai giornali»).
Nemesi storica: analizzando il trattamento riservato dal “fuoco amico” ad Angela Marcianò, sembra di assistere a una riedizione del trattamento che fu riservato, all’epoca, a Italo Falcomatà. Venne eletto sindaco perché Reggio era spacciata: piegata in due da una guerra di mafia terribile; appena riemersa da un commissariamento che aveva progettato persino la dismissione del patrimonio immobiliare del Comune («Erano pronti a vendere i gioielli di famiglia!», ironizzava con dolcezza il sindaco della Primavera reggina); isolata e antipatica a tutti. Titti Licandro, sindaco pentito, aveva fatto finire in carcere l’intera classe dirigente cittadina con una tangentopoli tinta di rosso per via dell’omicidio di Vico Ligato. Serviva una faccia pulita, un sindaco “protempore” in attesa di riprendersi il potere e rimettere le mani sulla città. Quando ci si rese conto che Italo era, certamente, una faccia pulita ma anche determinata a fare sul serio e a non considerarsi affatto “di passaggio” e che la gente stava con lui, il fuoco amico appaierà quello delle cosche. E se dal secondo lo proteggeva una scorta armata, dal primo nessuno lo difese; gli piovve addosso di tutto, persino una interrogazione parlamentare che diede vita a una indagine per apologia del fascismo (aveva fatto restaurare l’aquila littoria di Piazza del popolo). A guidare gli attacchi non c’erano i “Boia chi Molla” ma la Cgil. 
Al suo fianco un manipolo di “senza tessera”, Marco Minniti, i “ragazzi” della storica sezione “Girasole” del disciolto Pci e quelli delle OmeCa.
Se vogliamo, Angela Marcianò ci appare ancora più esposta e meno supportata. 
Ma forse non è così.

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