REGGIO CALABRIA Nove pagine. Oltre 36mila battute. Di dati, fatti, circostanze, risultati, progetti sbloccati e bocconi amari digeriti, tutto descritto con precisione, senza allusioni, né mezze parole. Lo aveva promesso Angela Marcianò: «Risponderò con una nota alle conclamate bugie». E alle striminzite “spiegazioni” a mezzo stampa del sindaco Falcomatà, che mai – sottolinea l’ex assessore – ha discusso con lei le motivazioni della revoca – ha opposto un diluvio di parole. E non per difendersi. Ma per mettere sul tavolo quello che – ad oggi – sembra essere il vero nodo dell’amministrazione Falcomatà: la questione morale.
ECCO PERCHÈ MI HA ESTROMESSA «Sono uscita dalla simpatia del sindaco quasi subito – dice chiaro Marcianò – e cioè quando si è accorto che non ero condizionabile, né intellettualmente né caratterialmente, ed in tempi più recenti quando sono stata cooptata nella Segreteria politica del PD, incarico al quale egli vivamente aspirava, per cui la mia estromissione dalla giunta non rappresenta solo una stolta ripicca ma è la garanzia che l’ulteriore percorso della consiliatura avrà soltanto lui come protagonista».
LA TORRE D’AVORIO Nella Reggio sopravvissuta agli anni dello scioglimento per mafia e al commissariamento non è tema di secondo ordine. E non lo è per l’amministrazione che aveva promesso un palazzo di vetro ma adesso si trova rinchiusa in una torre d’avorio, con un sindaco silente a fare da guardiano. Anche perché, adesso, le sommesse denunce che Marcianò ha fatto negli ultimi mesi sono diventate urla. E non possono essere ignorate.
LA SOLITUDINE DELLA GOLEADOR A quella maggioranza che l’ha accusata di essere «un Van Basten in una squadra di giocatori del Loreto» Marcianò dice chiaramente quale sia il problema e dove radicalmente radichi la sua incompatibilità con la giunta. Non in asserite assenze o inadempiente. Non in presunti cattivi rapporti con in colleghi, ma in una differenza – afferma – di fondo. Negli anni alla guida dell’assessorato, scrive «ho sentito ancora più prioritario l’obbligo morale di denunciare situazioni torbide interne che pregiudicavano la stessa immagine dell’ente comunale, per disperdere dai corridoi postulanti, più o meno presentabili, tutti in affanno per chiedere favori, commesse o provvidenze discutibilmente legittime, benefici che evidentemente erano stati loro promessi».
QUOTIDIANA BATTAGLIA Nel frattempo, ricorda l’ex assessore, ha dovuto «supplicare le imprese a riprendere i lavori interrotti per la buona ragione che non gli erano stati ancora pagati» e «chiedere al riottoso apparato comunale di predisporre gli atti di sua competenza che erano essenzialmente prodromici a quelli che doveva adottare il mio settore». Un lavoro titanico, meritevole, se non doveroso per un pubblico amministratore. A Reggio Calabria invece no. È stato rimproverato «più volte e con disprezzo» – ricorda l’ex assessore – come se fosse una pecca, o peggio – questa l’accusa – solo un modo per ritagliarsi un posto un po’ più al sole.
MARKETING E SOSTANZA Amministrare una città però non è equivalente a piazzare un prodotto o strutturare una campagna di marketing. E la preoccupante intimidazione che ha mostrato a tutta Italia quanto stesse dando fastidio l’intransigenza della Marcianò non è stata una mossa studiata a tavolino. Ma una minaccia di morte. Chiara, palese e probabilmente – ipotizzano alcuni – firmata da chi all’epoca in Comune aveva occhi, orecchie e uomini. Un messaggio che la città non ha avuto difficoltà alcuna a cogliere, con buona pace dei tentativi dell’amministrazione di mostrarsi interamente sotto attacco. Reggio però non si è fatta ingannare. E l’ex assessore adesso spiega perché all’epoca c’è stato chi ha voluto diluire le minacce da lei ricevute in un confuso calderone di generica ostilità diretto verso l’intera Giunta.
PARABOLE INCROCIATE Mentre l’auto di Marcianò esplodeva sotto le finestre della sua casa, Reggio assisteva – muta, ma non disinteressata – agli episodi che hanno progressivamente disinnescato e privato di senso la propaganda legalitaria dell’amministrazione. L’ex assessore è dotata di buona memoria. E a Falcomatà che assicura «siamo tutti per la legalità» non esita a ricordare come la città gli sia progressivamente sfuggita di mano.
TUTTI I “PECCATI” DI FALCOMATÀ «Penso – si legge nella nota – alla vergognosa vicenda dell’hotel Miramare affidato all’amico del sindaco senza nessuna procedura di manifestazione di interesse e con l’autorizzazione ad eseguire lavori senza autorizzazione da parte della Soprintendenza, che è obbligatoria nel caso di immobile di pregio storico ed architettonico, al Parco Caserta venduto a privati in maniera assolutamente illegittima, alla delibera sul Sistema della mobilità che mandò in rivolta mezza Città, alla vicenda dei lavori arbitrari sul Corso Garibaldi e alle vicende del sequestro penale in cui mi sono ritrovata e che faticosamente ho dovuto risolvere, assumendo l’impegno personale di ripristinare la legalità sia con la Soprintendenza che con il pm procedente».
DAL CANILE A PAOLO ROMEO, ANCORA BUCCE DI BANANA E ancora – aggiunge Marcianò – «ricordo la vicenda del canile municipale di Mortara, quella del trasferimento della nuora di un boss a Palazzo San Giorgio, della presenza a Palazzo San Giorgio di Paolo Romeo “invitato” come consulente ed amico di taluno e forse di tanti (come emerso dai fatti giudiziari) sulle vicende della città metropolitana che stava per nascere». In più, non dimentica di aggiungere l’ex assessore, «penso ancora alla fase attinente alla fase di preselezione della new-co Castore e Polluce, al licenziamento illegittimo della Vigilessa e da ultimo al trasferimento ritorsivo dei funzionari assegnati ai Lavori Pubblici, guarda caso tra i più operativi del mio settore, che ha mandato in tilt settori nevralgici dell’amministrazione, tanto da costringere il Dirigente ing. Romano a darne immediata comunicazione al Prefetto».
SCIMMIETTE A PALAZZO SAN GIORGIO Tutte vicende – denuncia oggi Marcianò – che l’allora assessore, paradossalmente accusata di attaccare alle spalle la maggioranza, ha posto per anni all’attenzione del primo cittadino, con «mie riservate personali dirette al Sindaco ed alla Segretaria generale, tutte datate e conservate agli atti, e precise denunce all’Autorità giudiziaria». Ma il confronto – denuncia oggi l’assessore – «è sempre stato negato». Traduzione, il sindaco ha sempre fatto finta di non vedere e non sentire. E non ha mai parlato. Alla Marcianò è sempre toccato denunciare il tutto in procura. In splendida solitudine.
CI SONO DENUNCE E DENUNCE «Quando il Sindaco dice che “siamo tutti per la legalità e non solo l’Assessore Marcianò” – sottolinea con forza l’ex assessore – io mi limito a ricordargli che le sole denunce serie all’Autorità Giudiziaria hanno riguardato i settori fino ad ieri da me diretti, e sono solo a mia firma, tant’é che il Procuratore Cafiero de Raho dandone atto, disse, in una infuocata conferenza stampa , “ringraziamo la Marcianò, unica fiera oppositrice del Cammera“».
IL BRUSCO RISVEGLIO Lo dice la Procura, lo mormora la città. Che di fronte a piccoli e grandi clientelismi, scandali, scivoloni non ha chiuso gli occhi. Di piccole e grandi questioni, troppo spesso legate direttamente o indirettamente ai clan, comitati, associazioni, singoli cittadini hanno chiesto conto. Poi hanno protestato. Infine hanno denunciato. Ma il sindaco è sempre rimasto in silenzio o si è trincerato dietro incomprensibili «questioni tecniche e procedurali». Di fronte alle domand
e è fuggito. E per la città ogni silenzio è stato uno schiaffo, che progressivamente eroso lo straordinario capitale di consensi che ha accompagnato Giuseppe Falcomatà a Palazzo San Giorgio. Mentre Marcianò è diventata per molti l’unico punto di riferimento credibile.
IL NODO CAMMERA Traiettorie opposte che nella vicenda Cammera hanno avuto uno snodo centrale. Non è un mistero per nessuno e l’ex assessore non lo nasconde. Nonostante una tardiva rimozione dal dipartimento, il dirigente comunale oggi imputato per aver piegato il Comune agli interessi dei clan, ha sempre considerato i Lavori pubblici cosa propria e dei suoi amici. Per questo Marcianò era scomoda, per questo l’allora onnipotente dirigente non si è risparmiato nel metterle i bastoni fra le ruote. Dispetti, mortificazioni, trappole, ostacoli, veti. Tutti pedissequamente comunicati dall’ex assessore al suo sindaco. Tutti pedissequamente ignorati.
«DIMETTITI» Anzi – ci tiene a sottolineare Marcianò – almeno in un caso, le sue denunce le sono costate una richiesta di dimissioni. «Ad una mia nota con cui puntualizzavo le varie illegalità su un appalto, Falcomatà mi ha risposto il 29 marzo 2016 alle ore 21,22: “Domani, unitamente alla presente consegnami le tue dimissioni!”». Come mai tanta veemenza? «Forse anche perché un familiare di questi (Cammera, ndr) era un candidato della maggioranza?» si chiede Marcianò.
REGGIO PRETENDE RISPOSTE Una domanda cui il sindaco non ha risposto, né quando il Corriere della Calabria ha svelato le ripetute visite e interlocuzioni di Paolo Romeo all’interno di palazzo San Giorgio, né quando il perché di quelle visite è stato svelato dalle inchieste oggi confluite nel procedimento Gotha. Peccato che da tempo la città pretenda di sapere.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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