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Il federalismo che serve alle Regioni

La crisi dei partiti è oramai un fatto del quale occorre tenere conto, prescindendo se con un uomo solo al comando oppure in gruppo. Determinanti sono le cose che non si fanno per superare le emerg…

Pubblicato il: 26/07/2017 – 9:42
Il federalismo che serve alle Regioni

La crisi dei partiti è oramai un fatto del quale occorre tenere conto, prescindendo se con un uomo solo al comando oppure in gruppo. Determinanti sono le cose che non si fanno per superare le emergenze che affliggono i cittadini abituati a vedere, fino a ieri, soddisfatte le loro pretese, non in via ordinaria bensì attraverso il ricorso a pratiche clientelari. A tutto questo si è aggiunta la crisi del sistema che sta via via impoverendo popolazioni intere – colpevole anche una globalizzazione immatura e senza regole – che si aggrappano al primo che urla, per trovare ragione (seppure teorica) alle loro pretese. 

La correzione del tiro e degli obiettivi
Occorre, dunque, una revisione delle rappresentanze politiche, nei cui confronti occorre dare gas da parte di chi si è guadagnata, a ragione o torto, la leadership in una organizzazione politica. Un compito non trascurabile per il centrosinistra che è ancora in cerca di autore, dal momento che scoraggia chi – come me – vorrebbe rintracciare qualche traccia del berlinguerismo, con la questione morale al seguito e non relegata, così com’è, in soffitta. Di quello che portò i lavoratori a prevalere nel 1976 sulla Dc, della quale invero il Pd mantiene troppo le impronte digitali. 
Il problema è capire come. Ciascuno avrebbe intanto l’onere di sforzarsi di individuare non dico la strada giusta ma di avere qualche idea da proporre, generativa di un produttivo cambiamento, tale da fare divenire il Pd di oggi riepilogativo delle anime che fecero del Pci e della Dc la grande rappresentanza politica di ieri. Degli interessi di quei ceti destinati, altrimenti, a soffrire più di quanto abbiano sofferto sino ad oggi.

Un regionalismo in crisi
La crisi delle Regioni – nei confronti delle quali occorrerebbe che la politica facesse ammenda e decidesse se lasciarle ovvero sopprimerle – richiederebbe ai partiti (anche a quelli che lo sono sotto mentite spoglie) una revisione dei loro programmi (meglio, di quelli che ci sono). Un modo per arrivare ad una programmazione federalizzata, intendendo per tale di individuare soluzioni differenziate per regioni, divenute tanto diverse tra loro anche in relazione alla differente composizione demografica ed economica che le caratterizza.

Il federalismo che serve
Una occasione, questa, da valutare in relazione alla lettera costituzionale vigente. Il riferimento va all’art. 116, quello che ha introdotto nell’ordinamento il cosiddetto federalismo differenziato. Quel meccanismo che attribuisce alle regioni con i conti a posto di rivendicare l’esercizio delle funzioni legislative attribuite allo Stato in esecuzione della competenza esclusiva (limitatamente alle lettere l, solo per la giustizia di pace, n ed s) che in quella concorrente. Quella facultas per il cui esercizio saranno celebrati, in Veneto e Lombardia, i rispettivi referendum il prossimo 22 ottobre.
Un esempio di come le Regioni forti nella produzione dell’economia anche pubblica, nel senso di gestire bene l’esercizio delle loro autonomie di governo territoriale, afferente alla erogazione dei servizi pubblici (comunali e regionali) e delle prestazioni essenziali (sanità in primis), vogliano altresì contare di più in termini legislativi.
Fatte queste ragioni, occorrerebbe, per l’appunto, che i soggetti attraverso i quali i cittadini possono, a mente della Carta, concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale si organizzino in modo tale da federalizzare i migliori metodi di generazione legislativa. Quelli più funzionali al soddisfacimento dei bisogni emergenti nelle diverse regioni di cui si compone la Repubblica. 

… altrimenti il decesso dei diritti sociali
In una tale ottica sarebbe il caso che i partiti pensassero, per le regioni all’asciutto di servizi pubblici e a secco di prestazioni essenziali, ad un federalismo differenziato di tipo reverse. Ovverosia che vengano proposte soluzioni e prodotte consultazioni referendarie per riassumere in capo allo Stato le competenze legislative oggi assegnate, part e full time, alle Regioni. D’altronde, in settori sensibili del vivere civile – come la sanità e l’assistenza sociale – quattro Regioni del già Mezzogiorno oltre al Lazio che in tale ambito rientrava da Frosinone a scendere, sono già commissariate dal Governo, senza contare che tutte le altre, fatta eccezione della Basilicata, sono obbligate ad esercitare politiche di rientro fortemente limitative dell’esigibilità dei Lea, sotto l’egida del controllo governativo.
Dunque, un modo per essere più vicini alle esigenze delle popolazioni deboli ponendo all’attenzione delle medesime la scelta di essere legislativamente assistite dallo Stato piuttosto che dalle Regioni che fanno spesso male il loro dovere istituzionale. Il miglior modo per tutelare l’unità sostanziale, giuridica ed economica, della Repubblica, nel senso di garantire a tutti ciò che è nei loro diritti. 

*docente Unical

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