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Perché il caso Marcianò può diventare un terremoto per Reggio

Il “caso Marcianò” inquieta non solo il modo politico ma, in queste ore, fa entrare in fibrillazione più di un Palazzo a Reggio… e a Roma. Angela Marcianò ha steso un “rapporto alla città” con tren…

Pubblicato il: 26/07/2017 – 19:40
Perché il caso Marcianò può diventare un terremoto per Reggio

Il “caso Marcianò” inquieta non solo il modo politico ma, in queste ore, fa entrare in fibrillazione più di un Palazzo a Reggio… e a Roma. Angela Marcianò ha steso un “rapporto alla città” con trenta cartelle al vetriolo. Ha parlato direttamente a Reggio e ai reggini, ha dato del bugiardo al sindaco e ha elencato una serie di fatti che hanno rilevanza penale, oltre che politica e amministrativa. Ha detto di pressioni subite e ha riportato documenti che tendevano a piegare la legalità e la trasparenza agli interessi di comitati d’affari giù noti in città, ha denunciato il peggiore familismo amorale e ha squarciato il velo su molte vicende amministrative che erano rimaste in chiaroscuro.
Nessuno ha contestato le sue dichiarazioni. Nessuno ha ritenuto di rispondere alle gravi accuse. Nessuno ha inteso chiarire chi ha preteso l’allontanamento della Marcianò dal governo della città. Un silenzio rotto dalle parole di Federico Cafiero de Raho, capo della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e in procinto di lasciarla, qualora il Csm decidesse di nominarlo nuovo procuratore distrettuale a Napoli. Evidentemente de Raho è di quelli che non pensano alla carriera quando debbono testimoniare la verità. E la verità che de Raho testimonia, dal suo particolare osservatorio, è devastante per il Pd reggino, per la sua classe dirigente e per il suo sindaco.
Alle agenzie di stampa il procuratore detta: «Abbiamo lavorato spesso con l’assessore Marcianò, in relazione ad alcuni appalti. Devo dire che si è posta personalmente per seguirne l’esecuzione, laddove vi erano dubbi anche circa la correttezza dei comportamenti. Per la verità è stata un interlocutore valido». Poi ricorda la vicenda di Marcello Cammera, potente capo della macchina burocratica di Palazzo San Giorgio, difeso dal sindaco Giuseppe Falcomatà, fortemente osteggiato da Angela Marcianò. L’inchiesta “Reghion” porterà all’arresto di Marcello Cammera e renderà noti i legami con Paolo Romeo, dal quale il Cammera andava a prendere ordini sulle pratiche amministrative del Comune. Oggi de Raho conferma che se l’amministrazione Falcomatà non è stata stravolta da quella inchiesta è solo per il lavoro svolto dalla Marcianò: «Addirittura si è esposta – ricorda il procuratore – proprio per rimodulare quello che era l’aspetto burocratico passato che era stato criticato nella stessa Commissione parlamentare antimafia».
Ma adesso che tanta resistenza e tanto sprezzo del pericolo, tanta intransigenza e tanta refrattarietà, invece di elevare l’operato di Angela Marcianò a modello ne hanno motivato l’allontanamento dal governo cittadino, prefetto e questore potranno evitare di andare a verificare la fondatezza delle circostanziate accuse che la Marcianò elenca nel suo “rapporto alla città”? Potranno scansare la richiesta di chiarezza e di imparzialità che i reggini, solidarizzando apertamente con l’assessore defenestrata, avanzano in queste ore?
A ogni piè sospinto è stato chiesto ai reggini di testimoniare e di denunciare, di collaborare con lo stato e di isolare ”massomafia” e comitati d’affari. Possono adesso girarsi dall’altra parte davanti alle spiegazioni fornite dalla Marcianò per spiegare il suo rifiuto a “fare squadra” come invece gli veniva richiesto?
Inevitabilmente, il cerino è in mano al prefetto e al questore. Nell’elenco non c’è la Procura della repubblica perché tutte le vicende riportate nel rapporto di Angela Marcianò sono oggetto di indagine e per una di queste, addirittura, i magistrati inquirenti avrebbero anche chiesto il rinvio a giudizio del sindaco. Inoltre dalle parole del procuratore de Raho si evince, chiaramente, che anche le indagini sul grave attentato intimidatorio in danno di Angela Marcianò le indagini sono in fase avanzata e vanno in direzione del movente politico-amministrativo. 
E c’è, poi, la Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi: che farà? Difficilmente potrà evitare di convocare Angela Marcianò e difficilmente potrà tenere su Reggio Calabria, e su Amantea, un comportamento diverso da quello assunto a Lamezia Terme e Isola Capo Rizzuto. Per non dire dell’antimafia del consiglio regionale.
E c’è il Partito democratico, il cui segretario regionale, onorevole Ernesto Magorno, siede in Commissione antimafia e del quale Angela Marcianò si sente essa stessa parte. Non avrà preso la tessera, ma quando firma il suo atto d’accusa annota di scrivere da «ex assessore ai Lavori pubblici» ma anche da «componente la segreteria nazionale del Pd». E con i vertici nazionali del Pd, Angela, se le sue condizioni lo consentiranno, avrà un incontro a Roma; nelle more, lunghe telefonate con Lorenzo Guerini e con altri esponenti della segreteria nazionale.
Basterà la tela che il “fine tessitore” Sebi Romeo, a sentire i suoi chanteur de geste, va tessendo per dar vita al blocco politico Falcomatà-Oliverio, a mettere al riparo dalla tempesta un partito che se a livello nazionale radica nel modo di intendere la politica le ragioni di una scissione, qui in Calabria si va frantumando davanti al modo di intendere  l’etica nella politica? 
È fuori dalla storia chi pensa che nel terzo millennio un blocco di potere possa avere la meglio su quello delle idee. Al massimo, un blocco di potere potrà concretizzare quello scenario che Rino Formica spiegava con l’aneddoto del convento: fare i frati ricchi, lasciando impoverire il convento. 
E i conventi poveri inesorabilmente sono destinati a crollare.

direttore@corrierecal.it

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