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Caso Sorical, come buttare l'acqua (insieme al bambino)

Il d.lgs. 175/2016 rappresenta un importante strumento per fare ordine nella giungla delle società c.d. partecipate dalla PA a qualunque titolo. Il maggiore problema riguarda la capacità dei sogget…

Pubblicato il: 31/07/2017 – 7:04
Caso Sorical, come buttare l'acqua (insieme al bambino)

Il d.lgs. 175/2016 rappresenta un importante strumento per fare ordine nella giungla delle società c.d. partecipate dalla PA a qualunque titolo. Il maggiore problema riguarda la capacità dei soggetti pubblici territoriali chiamati al complesso adempimento ad effettuarlo entro il 30 settembre e, soprattutto, a farlo bene.
Le vicende in gioco non saranno tra le più facili da istruire, da decidere, da confutare con i sindacati che saranno necessariamente coinvolti in difesa dell’occupazione a rischio, da motivare e da difendere nelle sedi giurisdizionali invocate da chi riterrà, conseguentemente, lesi i propri diritti/interessi. Non solo. Ai fini dell’assunzione delle decisioni e del successivo controllo da effettuarsi a cura del magistrato contabile occorrerà superare i naturali gap derivanti dalla mancata esperienza, in entrambe le sedi decisionali, in tema di ottimale tenuta della contabilità ordinaria, di non avvezzità nel trattamento e valutazione delle componenti straordinarie, nella determinazione degli avviamenti commerciali relativi, nelle pratiche di dismissione delle aziende ovvero delle quote possedute nonché nella corretta applicazione degli strumenti aggregativi e, perché non, disaggregativi. Basti pensare che per la gestione di questi ultimi, relativamente agli enti di diritto privato (tali sono da considerare anche le partecipate), vengono solitamente impegnati stuoli di commercialisti e di avvocati, nonché scomodate maggioranze che richiedono l’unanimità dei consensi delle rispettive «proprietà», per comprendere ciò che è più conveniente decidere. 

L’intervento della Sezione delle Autonomie
Di contro, nei confronti di tali ineludibili esigenze non soccorrono esaustivamente il testo del decreto legislativo, la prassi amministrativa e il contributo della Sezione delle Autonomie, limitatasi a scandire recentemente i relativi adempimenti (delibera 19/2017).
Il tutto preoccupa. Ciò in quanto:
– da una parte, vi è la necessità di fare pulizia nel panorama delle società a partecipazione pubblica, spesso utilizzate come strumento improprio per dribblare i limiti imposti dai ricorrenti blocchi del turn over e per attribuire poltrone;
– dall’altra, considerando le difficoltà, di chi decide e di chi sarà chiamato a verificare, ad esercitare i rispettivi compiti nei tempi brevi e senza la necessaria esperienza in materia di obiettiva determinazione dei valori in gioco. Una pratica accertativa, unitamente all’elaborazione del progetto industriale che giustifichi la eventuale continuazione, razionalizzata, dell’esercizio della partecipata in capo alla PA deliberante, che costituiscono la motivazione obbligatoria che assicurerà legittimità e opportunità ai provvedimenti da assumere.  

Il «regno» regionale e i doveri del «Principe»
Un compito, quello sollecitato, cui la Regione Calabria (ma anche i Comuni!) devono attendere con professionalità e precisione millimetrica, a partire dalla redazione del progetto industriale relativo al proprio patrimonio partecipato e/o controllato, al lordo del piano operativo di razionalizzazione, già «adottato» a mente della legge 190/2014 (comma 612), dal quale fare emergere la provata convenienza di mantenere in vita le partecipate rispetto alla loro dismissione. Un progetto complessivo che non c’è e quanto oggi appena accennato sul tema – nel corpo della banale documentazione ricognitoria messa a disposizione pubblica nell’innocua audizione del marzo scorso in Commissione vigilanza – non risulta sufficientemente assistito dai necessari studi/documenti indispensabili per perfezionare le migliori scelte. Un percorso istruttorio scarno di per sé funzionale ad ottemperare acriticamente agli obblighi, di natura pubblicistica, di redazione e trasmissione alla Corte dei conti della modulistica dell’applicativo «Partecipazioni», in adempimento agli step fissati dal vigente d.lgs. 175/2016. 
E dire che l’universo partecipato regionale – che annovera oltre 30 centri di interesse economico, rappresentato dagli enti e dagli organismi, per l’appunto, partecipati e/o controllati, sottoposti alle norme di diritto privato nonché al rispetto del principio di consolidamento dei conti degli enti territoriali riferibili al «gruppo amministrazione pubblica» – conta aziende e società prossime al crac e fondazioni delle quali è difficile individuare sia la ragione iniziale per costituirle che quella attuale per continuare a mantenerle in vita. Un dato del quale tenere conto per la redazione del bilancio consolidato della Regione da perfezionare entro il prossimo 30 settembre, dalla cui compilazione emergerà il dato numerico a tutto il 2016, dal quale partire per formalizzare le scelte future. Il modo per ben redigere la motivazione che dovrà essere alla base delle decisioni relative alla alienazione ovvero al mantenimento del patrimonio societario regionale, beninteso razionalizzato, e dalla quale dipenderanno, se male impostate, valutazioni negative che potranno essere causa di una eventuale conseguente responsabilità contabile.

La Sorical, una scelta non propriamente esemplare
Al riguardo, occorrerebbe rivedere talune scelte intermedie, anche risalenti, riguardanti alcune società comunque possedute dalla Regione, atteso che – per alcuni aspetti – non appaiono condivisibili. 
Su tutte, la vicenda Sorical SpA, società mista gestrice di tutte le opere afferenti al circuito delle reti idriche. In liquidazione da circa un quinquennio, con tante difficoltà al seguito e un inidoneo accordo di ristrutturazione dei debiti che non lascia speranza alcuna all’unità produttiva al lordo della qualificata mano d’opera via via formatasi nelle sue fila. Una precarietà progressiva, quella accumulatasi a carico dell’anzidetta società, cui si è pervenuti soprattutto a causa di un mancato investimento produttivo che avrebbe potuto, di contro, offrire alla società medesima elementi di significativo rendimento e un accettabile futuro imprenditoriale. Un vantaggio non da poco per le maestranze lasciate oggi al palo, per il consolidamento del know how posseduto e per il patrimonio della socia di maggioranza, tenuto conto che la stessa sarebbe divenuta unica socia in forza della volontà espressa dalla partner privata di essere disponibile alla cessione quasi gratuita della propria quota. Una ipotesi, questa, che potrebbe tornare segnatamente utile solo che la si sappia leggere in armonia con la recente legge regionale 18/2017 – istitutiva dell’Autorità idrica della Calabria (Aic) – ove mai da integrare ad hoc. 
Il tutto nell’ottica di salvaguardare, sotto il profilo civilistico, la continuità d’impresa nei suoi valori più intrinseci (esperienze tecnologiche e avviamento) e l’occupazione e, sul piano pubblicistico, di garantire al meglio il servizio pubblico «acqua» in tutta la regione. 
Un bene che comunque non può essere sottratto ad alcuni perché è di tutti. Un lezione che è ribadita anche dal Tribunale superiore delle acque pubbliche che ha recentemente rinviato al mittente l’impugnazione della Sorical dell’ordinanza del sindaco di Cosenza, del gennaio scorso, che imponeva una sensibile riduzione della portata istantanea costante minima idrica e la consegna delle chiavi dei punti di controllo ai diversi partitori e ad una adduttrice. 
Un provvedimento che la dice lunga, a tal punto da imporre alla Regione di rivedere le proprie scelte liquidatorie di allora ma anche di impegnarsi su quelle da assumere per garantire il diritto nei «rubinetti» dei calabresi.

 

(L’articolo reca, nella parte iniziale, quanto pubblicato dall’autore su IlSole24Ore di oggi con al seguito considerazioni specifiche in relazione a quanto sta accadendo, sul tema, in Calabria)

*docente Unical 

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