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«Cristo è (ancora) fermo a Eboli»

La stagione estiva concede, anche a chi fa politica, quegli spazi di tempo da poter dedicare a momenti di relax, alla particolare cura dei propri affetti e anche alla lettura dei tanti libri, da om…

Pubblicato il: 01/08/2017 – 13:21
«Cristo è (ancora) fermo a Eboli»

La stagione estiva concede, anche a chi fa politica, quegli spazi di tempo da poter dedicare a momenti di relax, alla particolare cura dei propri affetti e anche alla lettura dei tanti libri, da ombrellone o no, che sollecitano l’attenzione e a quegli approfondimenti sugli argomenti che sono parte integrante del lavoro, che certo non va in vacanza, e che esigono quelle riflessioni giuste e necessarie perché non rimangano soltanto materia di lettura ma si trasformino in idee o azioni che diventano il movente dell’agire politico e la politica diventi, o sarebbe meglio dire torni ad essere, lo strumento primo per la risoluzione delle problematiche ma anche mezzo per innescare processi virtuosi.
Gli ultimi report e dati statistici sull’andamento economico, di crescita e sociale del nostro Paese, mi hanno spinto a rileggere un classico: “Cristo si è fermato a Eboli” che rimane uno dei racconti più struggenti delle terre del sud d’Italia e nonostante siano passati 70 anni dall’uscita del libro e molto della storia vera del Meridione è venuta fuori, mettono in risalto come la strada per un’unione che superi la semplice unità ancora è lunga.
Leggi speciali, Casse del Mezzogiorno, uova di colombo, commissariamenti, appartengono alla storia del Sud e soprattutto della Calabria e se c’è chi cerca d’indorare la pillola, illusi che scenda meglio, con Patti, Agende, finanziamenti irrisori, opere di ristrutturazione, senza dubbio necessarie ma su cui pesano anni e anni di ritardi e di non considerazione da parte del Governo centrale che distratto ha “distratto” fondi e interventi di diritto per le regioni del Sud, che al di là dei ridicoli ed estenuanti stereotipi sono parte integrante di quello che rimane del nostro “Bel Paese”, la realtà è ben altra.
Gli ultimi dati redatti dagli studi Svimex e dal Touring Club, interventi di illustri conoscitori della gestione dei fondi pubblici e delle azioni di governo, disegnano un quadro dell’Italia alla deriva che diventa drammatico nelle aree del sud. E pur se è vero che ci sono realtà come la Puglia e la Basilicata che negli ultimi hanno intrapreso un trend di crescita positivo e che sono diventati attrattori d’investimenti esteri e che stanno portando benefici anzitutto dal punto di vista dell’occupazione, merito soprattutto di una forte politica locale e regionale che ha saputo imporsi, è senza dubbio vero anche che siamo ben lontani ancora da un reale sviluppo e dalla messa a regime di un sistema di governance del meridione d’Italia che diventino parte integrante e reale delle azioni di governo.
L’esclusione delle regioni del Sud da patti di convergenza con i Paesi esteri: non un porto meridionale per il mercato della seta, naturale sarebbe l’annessione del Porto di Gioia Tauro, che a breve (si spera!) diventerà una Zes (Zona economica speciale), un progetto datato ma come tutto il resto mai decollato; soltanto quattro prodotti delle aree del Sud sono stati considerati nell’accordo Ceta, a cui io guardo con molto interesse perché, se la politica nostrana fosse più attenta e incisiva sulle scelte del governo centrale, darebbe la possibilità ai tanti prodotti d’eccellenza dei nostri territori d’imporsi nel mercato canadese che già guarda, anche grazie ad antichi legami, positivamente alla nostra terra, e così via. 
A far accapponare la pelle ancor di più sono gli ultimi dati Svimex: spesa in conto capitale da 0.85 del Pil a 0.1, 58,7% della disoccupazione giovanile in Calabria, un tasso di occupazione totale del 30,9%, valore molto più basso della media nazionale che è pari al 43,1%, il 2028 data indicata perché si inverta la rotta, senza dimenticare i dati allarmanti della povertà, circa 10 meridionali su 100 vivono in miseria assoluta. E se i dati sono questi (tanto altro si potrebbe aggiungere) è evidente che non c’è alcuna risoluzione della leggendaria Questione Meridionale che ha prodotto un’Italia a doppi, tripli binari, emblematici anche i dati sugli investimenti infrastrutturali e la realizzazione di grandi opere, ferme esattamente a prima dell’Unità d’Italia quando era il Sud all’avanguardia e produceva ed esportava modelli.
L’invito è alla lettura e alla presa di coscienza di questo stato di cose, che certo non sfugge ai molti e che nonostante i grandi proclami molto poco si è visto se non l’aumento vertiginose delle emergenze, delle carenze e inefficienze che in contesti globalizzati diventano sempre più difficili da gestire e principalmente da non sottovalutare e poi c’è quel 1,7 milioni di persone emigrate in 15 anni che pesa come un macigno, perché ad essere esportate non sono soltanto braccia ma menti ossia il futuro e quel cambio generazionale di cui si necessita per avviare processi di riconversione e di attuazione di meccanismi che sappiamo innescare virtuosismi tali da rendere questo Sud e i suoi territori propositivi alla crescita e sviluppo dell’intero Paese.
Diventa allora imprescindibile la risoluzione del paradosso di Zenone di “Achille e la tartaruga”, dove la somma degli infiniti spazi (le vocazioni, le singolarità) colma la distanza (reale o presunta), un divario (reale o presunto), tra Sud e Nord superabile attraverso l’esplicazione delle proprie forze e proporzionale alle proprie peculiarità. Peculiarità che possono diventare lo strumento e il mezzo di rinascita e volano di sviluppo dei territori singolarmente ma in un percorso condiviso dell’intera Italia, in una ricostruzione che possa offrire, alle nuove generazione soprattutto, un futuro diverso e terre su cui investire e non da cui sfuggire.   
Meridione fuori questione non è soltanto un’inversione di termini ma di prospettive, non si parla e si scrive sul Meridione ma si agisce per il Meridione. Contro chi attraverso un centralismo burocratico e amministrativo tenta di uniformare tutto e tutti, occorre individuare un nuovo percorso politico che unisca attraverso la valorizzazione delle diversità, delle vocazioni, dei movimenti territoriali, bisogna guardare oltre i limiti e gli sciocchi pregiudizi e campanilismi, unendo nelle diversità i tanti movimenti territoriali presenti in Italia, candidandosi a costruire l’Unione delle Autonomie, un grande movimento federato in grado riportare al centro delle scelte politiche nazionali le autonomie locali. La politica deve ritrovarsi e riscoprirsi in una nuova formula che superi gli schemi dei partiti centralisti, delle decisioni calate dall’alto, della gestione delle realtà locali dai palazzi delle lobby di potere e che invece offra una nuova prospettiva ripartendo dalla territorialità, dalle comunità, verso la vera Unione di un Paese che oggi più che mai è in cerca di se stesso. Militanza, competenza, cambio generazionale, capacità di gestione, programmazione efficace, risoluzione definitiva del paradosso Nord-Sud, questi i termini di una nuova visione della politica e di governo, che abbia come fine ultimo il bene comune e la volontà di crescere ed investire non nel futuro ma nel presente. 

*Consigliere regionale

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