ROMA «La Calabria come il Pakistan». O quasi. È questo il bilancio che fa la senatrice Francesca Puglisi in un’intervista rilasciata a L’Espresso. È anche presidente di una commissione d’inchiesta, nata nel gennaio scorso, per valutare e proporre soluzioni adeguate ad un fenomeno sempre più dilagante. Numeri pesanti che Puglisi considera come «una tragica violazione dei diritti umani, la più tollerata nel nostro paese che ha alla base un tratto culturale difficile da sradicare». Ma la senatrice pone l’attenzione anche sui fondi, circa 70 milioni di euro stanziati tra il 2013 e il 2016. «A volte sono stati utilizzati in modo oculato, altre volte invece sono stati destinati ad associazioni che sono spuntate come funghi, che si sono presentate come centri antiviolenza, ma che alla fine non lo erano. Proprio per questo – dice Puglisi – è necessario cambiare la governance dei finanziamenti». Da qui prende piede anche un paradosso: le regioni del Nord, che ricevono i maggiori finanziamenti, presentano un numero ancor più elevato di casi rispetto alle regioni meridionali. «Sicuramente al Nord le donne sono più emancipate e sono più presenti nel mondo del lavoro. A Bologna l’occupazione femminile è del 60 per cento, una percentuale in linea con i paesi più sviluppati, mentre in Calabria abbiamo un tasso molto vicino a quello del Pakistan. Nel centro nord c’è una maggiore propensione a denunciare la violenza – spiega la senatrice -, le donne sanno di poter contare sul sostegno delle istituzioni per sottrarsi alle violenza. Al Sud le denunce sono inferiori, ma non è detto che lo siano anche le violenze». Ma molto da fare c’è anche per quanto riguarda il come queste storie vengono raccontate dai media. «Sono stati fatti dei passi in avanti ma molto ancora bisogna fare – aggiunge Puglisi -, c’è ancora un racconto completamente distorto di alcuni fatti». Infine un monito anche sulla scuola, considerato il luogo dove avvengono i primi contatti tra i ragazzini e dove anche uno schiaffo non viene considerato violenza. «Serve una maggiore attenzione sin dai primi anni. E sulle università – conclude la senatrice – abbiamo stabilito la presenza di corsi che permettano di riconoscere e affrontare la violenza. È un passo necessario per un cambiamento del nostro paese».
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