LAMEZIA TERME Paura. Costrizione. Corpi sfruttati. Crudeltà. Ingiustizia. Sono solo alcuni dei termini usati per indicare la tratta di persone straniere, quel fenomeno di sfruttamento lavorativo, sessuale e di accattonaggio che in Calabria non manca di raccontare storie. A dirlo sono le voci di operatori, mediatori, medici e infermieri che hanno contribuito alla realizzazione del progetto Bus, Buone uscite dallo sfruttamento, promosso dalla comunità Progetto Sud e sostenuto dalla fondazione Con il Sud. Una moderna schiavitù spesso invisibile o addirittura troppo visibile da diventare quasi normalità. Bus, un acronimo che nasconde dietro tutti i chilometri percorsi sulle strade calabresi, dalla campagna al mare, per conoscere, incontrare e soprattutto aiutare le decine e decine, se non migliaia, di stranieri vittime di tratta. Uomini, donne e bambini, giovani e meno giovani. Non importa la loro provenienza, età o genere: una volta giunti in Calabria sembrano essere tutti accomunati dallo stesso destino.
Sono circa 1500 gli stranieri che sono stati aiutati dagli uomini e dalle donne del progetto, più di 100 tra operatori specialistici, medici, infermieri e legali. Dodici i territori coinvolti, dalla Sibaritide fino a San Ferdinando, passando per Crotone e Lamezia. Tutte e cinque le province sono state coinvolte grazie anche alle associazioni e alle cooperative presenti sul territorio. «Un viaggio» lo hanno definito chi ha partecipato alla realizzazione del progetto, raccontato all’interno di due documentari.
“Dall’altra parte c’è sempre il mare” è il titolo di questo resoconto, che è quasi un inno alla speranza. Stranieri sfruttati nei campi che guadagnano meno di 25 euro al giorno. «I contratti di lavoro non sono reali perché non vengono mai contate le giornate effettive di lavoro, soprattutto nel settore agricolo», spiega una delle operatrici della Progetto Sud. Ma anche episodi di minacce nei confronti degli operatori da parte dei lavoratori stranieri che temono di perdere il loro lavoro, lo racconta Fabio, anche lui parte del progetto.
E poi la storia di chi ce l’ha fatta e potrà costruirsi piano piano un futuro. È stato avviato un crowdfunding, una raccolta di fondi online, che sta permettendo ad alcuni ragazzi di poter svolgere dei tirocini, attraverso borse-lavoro, in alcune aziende. Sono 56 gli imprenditori che hanno aderito al progetto e che hanno messo a disposizione il loro sapere e i loro spazi a tanti giovani. «Sono dei ragazzi seri, sempre puntuali e che non mancano mai, se non per delle esigenze necessarie». A dirlo è l’imprenditore Angotti, titolare di un panificio a Lamezia che ha ospitato Mousa per il tirocinio e che continuerà ad affiancarli. «Sono stato anche a Roma, ma qui finalmente mi sento bene, sto imparando tanto cose», dice con parole semplice, ma quanto mai profonde il ragazzo.
Vittime di tratta sono soprattutto le donne e le loro storie, che vengono da lontano. Niger e Bulgaria i paesi di origine della maggior parte delle ragazze costrette a prostituirsi per esigenza, perché non hanno altri lavori, perché magari hanno dei figli da mantenere. Vengono offerte loro soprattutto consulenze legali e mediche, perché come raccontano le operatrici «vogliono sapere qual è la loro posizione».
La testimonianza viene fatta anche da chi ce l’ha fatta e ora veste i panni del mediatore che cerca di aiutare gli altri. Come Naima, straniera, che ha cercato di intervistare le sue connazionali che lavorano in un’azienda agricola. «Offrono la stessa paga a chi è con il contratto sia chi non lo ha. Ma lì – dice – tutti hanno paura di dire la verità». Infine c’è anche Mamadou, giunto nella nostra regione come tutti gli altri, e che ora si trova dall’altra parte. Fa il mediatore ora e aiuta le ragazze costrette a lavorare per strada. Le aiuta nelle cose essenziali, come fare fare i documenti o chiedere un permesso di soggiorno o, semplicemente, lui c’è perché loro a volte loro hanno solo bisogno di trovare qualcuno con cui parlare.
Adelia Pantano
redazione@corrierecal.it
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