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«Il welfare fa schifo. E la politica ignora i deboli»

Antonio Noce, Roberto Golia e Serafina Speranza sono i nomi dei morti bruciati nell’incendio sviluppatosi nella notte del 18 agosto scorso in un fabbricato di Cosenza vecchia. Uno dei tanti immobil…

Pubblicato il: 20/08/2017 – 13:23
«Il welfare fa schifo. E la politica ignora i deboli»

Antonio Noce, Roberto Golia e Serafina Speranza sono i nomi dei morti bruciati nell’incendio sviluppatosi nella notte del 18 agosto scorso in un fabbricato di Cosenza vecchia. Uno dei tanti immobili di pregio, ma degradato, che affaccia tra la parte laterale destra dello stupendo Duomo dell’XI secolo e la piazza ove ha sede l’Arcivescovado. Quindi tre signori bisognosi di tutto, ai quali il sistema ha negato finanche la vita, non sono più tra noi. 
L’accaduto non va liquidato come la solita disgrazia che ha visto vittime tre persone. Deve essere dato allo stesso un significato politico. Quanto successo deve fare pensare (tanto) sia i decisori pubblici, nel senso del loro non essere parte attiva delle garanzie sociali da assicurare ai cittadini, che la società civile.
Ebbene sì, abbiamo un welfare che fa schifo, rispetto a quello disegnato nel 1947 dai Padri costituenti. Un Sistema sociale che dovrebbe fare ciò che invece non fa: assicurare a tutti i cittadini l’esigibilità delle prestazioni essenziali alla vita e garantire la fruizione dei servizi sociali indispensabili.
Attenzione, con questo non si vuole affermare il disimpegno totale dal rendere ai cittadini il dovuto – spesso goduto a seguito di intercessioni private, intendendo per tali le richieste fatte direttamente agli operatori di propria conoscenza (per chi ha la fortuna di godere di tali rapporti!) – bensì l’abbandono quasi totale dei bisognosi. È questo il dato che allarma la comune coscienza, dal momento che essi sono in progressivo e preoccupante incremento.
Tutto questo è colpa di una politica che si è trasformata nei suoi interessi. Lavora per conquistare i grossisti del voto, curando così i forti e disinteressandosi del quotidiano dei deboli. Quelli che tuttavia subiscono il richiamo di chi è capace, urlando, di metterli insieme lavorando sul dissenso che costituisce il loro massimo comune divisore: gli emarginati, i senza un nome e un cognome utile ad alcuno, le persone comuni che non ne possono più delle prepotenze della politica, dei loro privilegi, dei loro vitalizi da nababbi, a fronte dei quali esistono pensioni al di sotto del reddito vitale.
Di conseguenza, c’è chi paga più degli altri, intendendo per tali chi vive nell’incuranza del potere, nella miseria, senza quei beni e quei diritti che dovrebbero essere comuni a tutti: il ceto dei diseredati. Quelli cui va modificata la comune denominazione «degli ultimi». Ciò in quanto sono nettamente al di sotto, tanto essere ridefiniti come «gli inesistenti»!
Quanto ai doveri della politica, mi viene in mente il discorso di chiusura all’ultimo congresso del Pci, celebrato il 3 febbraio 1991. Lo ricordo perché dalla Bolognina in poi non ho più avuto in tasca alcuna tessera di partito. Occhetto, nell’occasione, fece un ammonimento del quale oggi si è persa traccia, perché tutti sono impegnati a intercettare il voto del ceto medio e di quelli superiori. Il tutto trascurando i diseredati, figuriamoci «gli inesistenti»,  perché impongono fatica e risorse pubbliche, da destinare a paghette per gli adulti. In buona sostanza, il buon Achille sottolineò l’inascoltata esigenza di continuare, così come faceva il partito di Berlinguer, a essere i garanti della istanza collettiva, che chiedeva di essere assistita quotidianamente nell’esigere i diritti fondamentali, altrimenti a rischio di tutela.
Da allora, da quell’ammonimento, neppure l’ombra. Un welfare state da invidia passato all’assenza totale dell’assistenza sociale, lasciata alla legislazione delle Regioni incapaci di tutto, persino della sensibilità necessaria.
Si è così pervenuti a uno stato assistenziale venduto agli accreditati che incettano risorse spedalizzando i bisognosi (invero oggi a rischio di incasso delle rette per le ben note vicende regionali). Uno stato sociale che non consente neanche la conta dei bisognosi, dei nostri vecchi senza le doppie pensioni (quelle che, di contro, fanno sì che i beneficiari vengano “calorosamente” attratti nelle case dei figli e dei nipoti che ne fanno proprie le entrate!), di chi vive in miseria, di chi si lascia morire per strada e negli alloggi di fortuna. Di chi nessuna istituzione è oramai capace persino di rintracciare per dare loro il minimo vitale.
Quel sistema di non assistenza che ha fatto sì che, in una notte di agosto, Antonio, Roberto e Serafina siano passati atrocemente dall’altra parte, insieme al loro fido cagnolino.

*docente Unical

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