Dell’ultimo non si conosce nemmeno il nome. Si sa solo che si tratta di «una fonte dichiarativa» in possesso di «elementi di conoscenza diretta» sui rapporti di Giovanni Aiello e l’ex numero due del Sisde, Bruno Contrada. Ma negli anni, a Reggio Calabria, dell’ex poliziotto della Mobile palermitana sono stati in tanti a parlare. Pentiti, per lo più. Unanimi nell’indicare Aiello, da tutti identificato come “Faccia di mostro”, come anima nera di diversi misteri reggini. Per questo su di lui i magistrati hanno iniziato un lungo e paziente lavoro di approfondimento.
LA PRIMA PERQUISIZIONE La Dda gli è stata addosso per anni. Per quel che si sa, almeno dal 2014. Nel marzo di quell’anno gli agenti della Digos si sono presentati alla porta dei suoi appartamenti di Montauro e Montepaone in Calabria e della centralissima via Wagner a Milano, con l’ordine di passarli al setaccio e prelevare quanto fosse di interesse investigativo. Sono andati via dopo ore e ore di attività, con molti scatoloni e molte domande. Perché poco in quegli appartamenti confermava l’immagine del modesto pescatore che Aiello.
UN PESCATORE RICCO E ARMATO Tra cassetti e armadi gli investigatori della Digos di Roma hanno trovato lettere, cartoline, appunti, documenti, ritagli di giornale e biglietti di viaggio in Sicilia, negli Stati Uniti, a Brescia, Venezia, Mantova, sull’isola d’Elba. Ma soprattutto avrebbero trovato la prova – cristallizzata in ordinate ricevute di depositi titoli intestati alla moglie e presumibilmente a un parente di lei – di disponibilità finanziarie eccessive. Sia per un ex poliziotto, sia per un semplice pescatore. E poi armi, che Aiello non avrebbe potuto tenere, se è vero che nella sua casa è stato rinvenuto anche un diniego di un porto di pistola emesso dalla Prefettura di Catanzaro.
INTERROGATIVI E MISTERI Da chi presumeva di doversi difendere Giovanni Aiello? Di chi aveva paura tanto da annotare diligentemente la presenza di un misterioso furgone rosso nelle vicinanze del suo appartamento? E a chi erano destinati quegli appunti? Misteri che probabilmente l’ex poliziotto si è portato nella tomba, lasciando dietro di sé fin troppe domande senza risposta. Prime fra tutte quelle relative all’incontrollabile paura che il suo semplice nome ha scatenato in collaboratori come Nino Lo Giudice e Consolato Villani.
UN NOME CHE EVOCA TERRORE Cugini, per anni legati a doppio filo, poi nemici negli anni della collaborazione, adesso – pare – di nuovo sulla stessa linea d’onda, Villani e Lo Giudice hanno avuto la medesima reazione quando sotto interrogatorio è stato chiesto loro di Aiello. O meglio degli omicidi dei carabinieri cui Aiello, secondo alcune ipotesi, sarebbe relazionato. I due collaboratori, così diversi, in quel periodo così distanti, hanno avuto una reazione identica: terrore.
LE RIVELAZIONI DI VILLANI Più lucido, Villani dopo essersi trincerato nel silenzio, quando l’allora sostituto procuratore della Dna Gianfranco Donadio si stava già avviando verso l’uscita della sala interrogatori, ha capitolato. «Non posso rischiare il futuro per la vicenda dei carabinieri, intendo riferirvi esattamente come andarono le cose» ha detto ed ha iniziato a parlare della reale ragione degli attentati ai carabinieri per cui è stato condannato negli anni Novanta. Non si è trattato di “incidenti” necessari per coprire un traffico di droga. Quelle azioni di fuoco erano state ordinate.
LA STRAGE LENTA E LE FREQUENTAZIONI CON I LO GIUDICE «Dovevamo fare come quelli della Uno bianca. Attaccavamo lo Stato. Come avveniva in Sicilia, come era avvenuto negli attentati di quel periodo – ha spiegato poi in una serie di interrogatori, anche di fronte ai magistrati della Dda di Reggio – (Calabrò, ndr) mi disse che era una cosa più grande di me. Mi raccomandò di non parlarne con nessuno, neanche con mia madre. Era pericoloso solo parlarne». Ed erano parte di una «strage lenta» in cui – ha confermato in altra sede il suo coimputato, Giuseppe Calabrò – era coinvolta anche «la carne mia». In due distinti interrogatori, entrambi lo hanno riconosciuto. E Calabrò ne ha perfino confermato i rapporti con Demetrio Lo Giudice, l’uomo che, secondo la Dda, insieme a Rocco Filippone si sarebbe occupato di organizzare la materiale esecuzione di quegli attentati per conto dell’èlite dei clan di Reggio e della Piana.
LA FOLLE REAZIONE DEL NANO Decisamente più isterica la reazione di Nino Lo Giudice. E secondo il gip che ha firmato l’ordinanza “’ndrangheta eversiva” ancor più significativa. Perché per la prima volta Lo Giudice si spaventa. Succede dopo il colloquio investigativo del 2012 in cui, per la prima volta, interrogato dal sostituto procuratore Donadio il collaboratore ha ammesso di essere stato in contatto con Aiello. Ed ha iniziato a parlare di lui. Ma al “Nano” è bastato lasciare la sala interrogatori per ritornare sui propri passi. Al magistrato, cui aveva promesso copia delle fotografie scattate ad Aiello, ha mandato solo dei fogli bianchi, chiedendo alla compagna di filmare il suo bluff. Una reazione spiegabile, secondo il gip Trapani, solo con lo stato di tensione estrema che il solo parlare di Aiello ha provocato in un collaboratore – di certo non di primo pelo – come Lo Giudice.
UN UOMO CHE AGIVA NELL’OMBRA «Evidente, allora – si legge in un passaggio dell’ordinanza “’Ndrangheta stragista” – che il Lo Giudice, fra i diversi argomenti “scottanti” da lui affrontati, riteneva davvero pericolosi (sia per lui che per i suoi cari) proprio quelli affrontati nel colloquio investigativo del Dicembre 2012 alla Dna (come straordinariamente documentato da un filmato) . E cioè quelli che lo portavano sul terreno delle stragi e dei suoi possibili ulteriori protagonisti e quello dei suoi rapporti (confermati peraltro, non solo dal Villani, ma, anche, da altri elementi indiziari) con un soggetto quale l’Aiello, che sulla stessa base delle dichiarazioni del Lo Giudice, risultava essere un uomo che agiva nell’ombra, fra un lontano passato nello Stato ed in campi d’addestramento militari, e un passato più recente e il presente, al fianco del crimine organizzato e di pericolose entità deviate, non individuate».
CHI PROTEGGEVA AIELLO? Solo dopo aver abbandonato il programma di protezione, aver mandato infuocati memoriali con cui ha ritrattato tutto quanto avesse in precedenza dichiarato, essere stato riacciuffato e aver superato una lunga parentesi di mutismo ha spiegato perché fosse tanto spaventato. Al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Lo Giudice ha raccontato di aver ricevuto, in più di un’occasione, pesanti pressioni da misteriosi uomini qualificatisi come carabinieri. Stando a quanto dichiarato, gli avrebbero chiaramente intimato di smettere di parlare di Aiello. Per questo avrebbe deciso di darsi alla fuga, mandando infuocati memoriali per confondere le acque.
CORTINA FUMOGENA «Evidente che ci troviamo di fronte a un depistaggio nel depistaggio – si legge ancora nell’ordinanza – cui Lo Giudice si è indotto per mascherare i veri beneficiari della ritrattazione (Aiello e Cosa Nostra) e, quindi, per mascherare, per annegare, in una più ampia cortina fumogena, il messaggio che intendeva mandare a chi di dovere sul suo intendimento di non rendere (più) dichiarazioni che coinvolgessero Aiello o Cosa Nostra». Poi la sua fuga è finita, Lo Giudice ha cominciato a parlare, a spiegare, a chiarire. Tanto di quello che dice ha trovato riscontro nelle dichiarazioni di Villani, sebbene entrambi non sembra siano stati ritenuti attendibili dai magistrati di Caltanissetta che li hanno chiamati a deporre.
LA CACCIA NON È FINITA Ma a Reggio Calabria sulle loro rivelazioni si lavora ancora. Molte pare siano ancora coperte da omissis e al momento non è dato sapere chi fossero
i misteriosi “sedicenti carabinieri” che hanno avvicinato “il Nano” per intimargli il silenzio su Aiello. Di certo si sa che dell’ex agente della Mobile hanno parlato più di un pentito – non solo calabrese – e più di un testimone. E la sua morte potrebbe non fermare le inchieste in corso. Anche perché – è questo il sospetto – Aiello potrebbe essere solo uno dei terminali di un mondo ben più vasto e variegato.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
Senza le barriere digitali che impediscono la fruizione libera di notizie, inchieste e approfondimenti. Se approvi il giornalismo senza padroni, abituato a dire la verità, la tua donazione è un aiuto concreto per sostenere le nostre battaglie e quelle dei calabresi.
La tua è una donazione che farà notizia. Grazie
x
x