REGGIO CALABRIA Mentre case, barca, auto e cellulari di Giovanni Aiello vengono nuovamente messe sotto sequestro ed esaminate, l’inchiesta sulla “Ndrangheta stragista” che vedeva l’ex poliziotto della Mobile di Palermo fra i principali indagati, si fa di ora in ora più solida.
ORDINANZA CONFERMATA Il Tribunale del Riesame ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare per i boss Giuseppe Graviano e Rocco Filippone, considerati fra gli organizzatori della “sezione calabrese” della stagione degli attentati continentali. Secondo quanto ipotizzato dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e confermato prima dal gip e oggi anche dai giudici del Riesame, anche la ‘ndrangheta avrebbe partecipato alla strategia della tensione con cui le mafie negli anni Novanta hanno tentato di imporre i propri interlocutori politici alla guida del Paese.
OBIETTIVO EVERSIONE Un piano eversivo, maturato – emerge dall’inchiesta – non solo nella galassia mafiosa, ma messo in atto anche con l’insostituibile contributo della massoneria piduista, dei servizi e del circuito nero ordinovista. «I nuovi equilibri geo-politici – spiega al riguardo il gip – stavano mutando i meccanismi di un sistema in cui erano prosperate. La loro sopravvivenza era quindi legata alla necessità di impedire che quei cambiamenti travolgessero quel sistema».
LE DUE FASI Tanto i clan, come le schegge impazzite dei servizi non avevano intenzione di perdere una spanna del potere accumulato anche grazie a referenti politici e istituzionali miopi o compiacenti. Per questo progettano e lavorano ad un piano complesso, con una strategia da attuare in due fasi. Primo, la destabilizzazione e la strategia della tensione, per creare una generica sensazione di instabilità nel Paese, utile per imporre un “governo forte”. Secondo, una «finta-nuova classe politica etero-diretta, che aveva la precipua mission di garantire `Ndrangheta, Cosa Nostra e le altre mafie», come altre e diverse forze occulte «sia paramassoniche piduiste che della destra eversiva».
GLI ATTENTATI AI CARABINIERI È questo il quadro, hanno svelato i magistrati, che spiega l’omicidio dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, trucidati nei pressi dello svincolo di Scilla il 18 gennaio 1994, e dei due agguati che nei giorni successivi sono quasi costati la vita ad altri quattro loro colleghi, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, feriti alla periferia sud di Reggio Calabria il 1 febbraio, e Vincenzo Pasqua e Salvo Ricciardo, rimasti miracolosamente illesi dopo l’attentato subito il 1 dicembre del ’93.
I MANDANTI SONO LORO Non si è trattato di azioni di balordi – come affermato dalle sentenze dei primi procedimenti, che hanno portato alla condanna dei pentiti Consolato Villani e Giuseppe Calabrò – ma di azioni programmate. Fra i mandanti – ha confermato oggi il Riesame – c’erano anche i boss Rocco Filippone, uomo di vertice del clan Piromalli, e Giuseppe Graviano, capo del mandamento palermitano di Brancaccio.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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