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La Calabria che muore mentre si sprecano i quattrini

La Calabria non finisce mai di stupire, ovviamente negativamente. In una regione come la nostra accadono, infatti, eventi e si registrano fenomeni incomprensibili e inimmaginabili per chi è avvezzo…

Pubblicato il: 23/08/2017 – 6:24
La Calabria che muore mentre si sprecano i quattrini

La Calabria non finisce mai di stupire, ovviamente negativamente. In una regione come la nostra accadono, infatti, eventi e si registrano fenomeni incomprensibili e inimmaginabili per chi è avvezzo alla normalità. Due gli ultimi, un evento e un fenomeno.

L’evento. La morte dei tre cittadini di Cosenza uccisi dall’insipienza di quella politica che trascura l’assistenza socio-sanitaria, quella che dovrebbe raggiungere le persone ove esse dimorano, a prescindere dal titolo abitativo in loro possesso, messa a confronto con il cachet vergognoso assicurato a Belen Rodriguez semplicemente per apparire alla festa del peperoncino a Diamante. Due fatti che provocano, entrambi e a chiunque, la pelle d’oca. Che alla nostre latitudini costituiscono gli elementi di una rissa tra partiti piuttosto che mettere seriamente in discussione le coscienze. Soprattutto di chi sarebbe tenuto a che siffatte porcherie non si verifichino. Assicurando le opportune cure ai disagi che, oramai, proliferano anche in città, dopo avere fatto finta di nulla per decenni davanti al disagio sociale. Stando bene attenti a che i denari pubblici rimangano tali nella destinazione e non già essere spesi per le solite stupidaggini.

Il fenomeno. L’uso smoderato delle risorse pubbliche ha contribuito segnatamente all’indebolimento delle casse delle istituzioni territoriali. Ciò è accaduto per i Comuni, per le Province e per le Regioni. Da noi tutti specialisti, esperti in dilapidazione. Tutto questo ha generato una fiscalità territoriale che ha messo le mani nelle tasche dei cittadini più del dovuto ovunque, tranne nella solita Campania che, quanto ad inefficienza, alcune volte riesce a fare peggio di noi, e il solito Lazio spendaccione per dovere di Capitale.
Ebbene sì perché il prelievo annuo per famiglia residente è pari, a tutto il 2016, a 1.800 euro contro, per esempio, per la vicina Basilicata che è di € 1.451 oppure per la Sardegna (che non è certamente fiorente per produzione del Pil e occupazione) che è di € 1.495. Un dato che allarma e non già solo per valore assoluto bensì in rapporto all’incidenza sul reddito prodotto in loco. Un rapporto che in Calabria è destinato a raggiungere percentuali negative stratosferiche, specie se considerato che tra qualche anno, con la naturale moria dei nonni portatori di pensioni e di benefit previdenziali non contributivi (trattamenti pensionistici di invalidità e assegni di accompagnamento), la produttività di cui gode la famiglia tipo precipiterà drasticamente. Tutto questo diventerà davvero preoccupante per il vivere sociale se messo ulteriormente a confronto con il disagio vissuto da circa 100 Comuni calabresi alle prese con dissesti e predissesti, impegnati pertanto per dieci anni a mantenere ai massimi le aliquote e le tariffe da sopportare per godere dei servizi pubblici c.d. ad istanza sociale. Non solo. Ad un tale disagio contribuirà lo stato di default vissuto dalla Regione che, nonostante gli sforzi di «plastica facciale» dei propri bilanci dovrà alzare le mani a causa delle pesanti ricadute sul suo netto patrimoniale che le precipiteranno addosso dalle proprie «partecipate», simbolo di spreco e di inettitudine manageriale.     

Le conseguenze. Oltre alle difficoltà per le famiglie standard calabresi, tali sono quelle analizzate dalla Banca d’Italia per generare la graduatoria dell’anzidetto prelievo, si correranno due rischi, di non poco conto. Il primo è quello di vedere ingigantita la povertà sociale, che vedrà progressivamente coinvolte, oltre a tutti quelli che sono abbandonati a (non) vivere come i tre poveretti deceduti a Cosenza nel rogo del 18 agosto scorso, le famiglie al netto dei nonni che non ci saranno più, costrette ad affrontare oneri locali spropositati per le loro impoverite tasche. L’altro, riguarderà l’eventuale generazione di un crescente disimpegno sociale nei confronti degli immigrati, che cominciano ad essere addirittura «invidiati» dai ceti nostrani meno abbienti. Il godimento di 35 euro pro capite per la loro esistenza quotidiana sta divenendo, infatti, un elemento di comparazione negativa con le scarse risorse a cranio disponibili in un grandissimo numero delle famiglie autoctone. Un pericolo di risentimento razziale – incentivato da quelle politiche eccessivamente denigranti delle garanzie assicurate ai richiedenti asilo travestite da ragioni apparentemente difensive dei connazionali – che metterà definitivamente in ginocchio il nostro territorio e in crisi la propensione all’inclusione che ha distinto sino ad oggi la nostra generosa gioventù.  

 

*docente Unical

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