Mentre sulla tragedia avvenuta nel Centro storico di Cosenza emergono particolari meno vaghi, devo apportare una piccola precisazione al mio articolo sul fatto uscito su «Il Manifesto». Non prima, però, di ribadire che in questa vicenda, che in queste ore sta assumendo tratti sempre più inquietanti, ciò che conta in primo luogo è il dramma delle vittime. È però anche evidente, dalla stampa locale, nazionale e internazionale, dai social, nonché – direi soprattutto – dalla straordinaria e massiva partecipazione dei cosentini, che il problema è pure più ampio: sociale, culturale e politico.
Di fronte al dramma, francamente avrei pianto in privato ed evitato ogni commento. Dato il mio mestiere di storico, però, sono stato chiamato in causa non solo dal «Manifesto», ma anche in una struggente poesia di Paride Leporace e in un pungente articolo di Pablo Petrasso qui sul «Corriere». Devo, quindi, ritornare sulla cosa.
Già quando ho parlato con Claudio Dionesalvi e con la redattrice de «Il Manifesto», che mi chiedevano d’intervenire a caldo mentre le operazioni erano ancora in corso, ho espresso le mie perplessità su una storia che presentava contorni molto dubbi. Infatti, per prudenza del mestiere ho messo le mani avanti evocando la provvisorietà delle notizie, acutamente colta dal «Manifesto» nel pezzo d’apertura della prima pagina, e che del resto emergeva anche dall’ottimo articolo di Claudio Dionesalvi.
In rete circolavano, perfino su prestigiose testate nazionali, notizie improbabili. Autentici fantasmi, come i manoscritti in gotico autografi di Bernardino Telesio o la copia bruciata del suo libro definita come unica. Addirittura, si leggeva che s’era perso mezzo millennio di storia di Cosenza. Mentre la nostra storia si sta perdendo nell’agonia della Biblioteca Civica – dove peraltro sono conservate tutte le edizioni del capolavoro telesiano – e nella lenta morte del meraviglioso Centro storico. Sul «Corriere della Sera», addirittura sul «Corriere della Sera», la notizia sul rogo si apriva così: «Era la più importante biblioteca del Sud Italia…». Notizia fantasmagorica – oltre che irrispettosa delle vittime –, ripresa para para da «The Telegraph»: «The leading Corriere della Sera … described the private museum housing the collection of the Bilotti… family as “the most important library in Southern Italy”».
Ennesima dimostrazione di come si propaghino le notizie false. E per restare alle notizie false, tutti i siti locali e nazionali, le agenzie, una fonte della Sovrintendenza da me interpellata e lo stesso proprietario, fonte primaria di tutte le notizie, parlavano della prima edizione del volume di Telesio. Invece, ho poi potuto appurare (da un’intervista di Roberto Bondì uscita sul «Mattino» il giorno dopo) che la copia del capolavoro di Telesio coinvolta non è la prima del 1565 ma la seconda del 1570. Meno importante, per la storia della filosofia, rispetto alla più radicale prima. Ma sempre importante, e per diversi aspetti. Basti leggere l’eccellente Introduzione a Telesio di Roberto Bondì (Laterza), e le ottime edizioni del testo (in latino e in italiano) curate dallo stesso Bondì (Bompiani e Carocci).
Anche sul piano bibliologico, la copia è meno rara della prima. Ciò non vuol dire, però, che abbia poco valore. Qualunque libro vada in fumo è un crimine contro l’umanità, e comunque qui stiamo parlando d’un celebre e raro testo della cultura europea del ’500. E stiamo parlando del filosofo col quale più s’identifica la nostra città, che sarà sempre la «città di Telesio» (e d’altri giganti) e mai la città d’un barbaro invasore. Ora, leggo su un quotidiano online e diffondersi sui social la notizia secondo cui la copia varrebbe «600 euro». Diciamo subito che qui si tratta di una perdita culturale ben più grave di quella economica. Ma se proprio si vuol restare su questo campo, in realtà sul mercato italiano, a Bologna, è disponibile oggi in vendita una copia dell’edizione del 1570 (quella andata in fumo), e il costo è di ben 11.000 euro, non di 600. Un’altra copia, poi, è disponibile sul mercato europeo, a Copenaghen, e il prezzo è addirittura di 18.693 euro. Si tratta, dunque, di cifre di tutto rispetto trattandosi pur sempre di libri e non di diamanti. Tanto per fare un confronto, una copia della terza e definitiva edizione (del 1586) del De rerum natura, è attualmente in vendita a Buenos Aires a 7.848 euro.
Ribadisco che non è così che si valuta la perdita di questo e d’altri libri, e francamente mi dà pure fastidio doverne parlare in questi termini. Cerchiamo, però, di mantenere la diffusione delle notizie su binari d’autenticità. Stiamo parlando d’una ferita molto seria alla comunità cosentina. Alla città e alle martoriate vittime è dovuta, ad ogni costo, piena luce e non falsità.
*docente di Storia moderna all’Università di Torino
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